Originale, raffinato, mutevole, ironico, meditativo, geniale, in sintesi "ottimo" (a partire dalla confezione) questo lavoro dei Methel and Lord, in cui classicità e novità si incontrano in un perfetto e sublime connubio.
Dal folk all'elettronica, attraverso il blues, si lasciano suggestionare da numerosi ed eterogenei stili, sovrapposti ed armonizzati con abile creatività e sofisticata disinvoltura.
La mia attenzione è catturata sin dai primissimi secondi di ascolto, ed è costantemente mantenuta, anzi incessantemente alimentata, col passare dei minuti, nel corso dei quali si susseguono insospettabili sonorità ed inaspettati eventi, come se la musica stesse accompagnando lo svolgersi di una rappresentazione teatrale, o la vita reale stessa, di cui ogni canzone costituisce un diverso atto.
La voce non è mai limpida; le parole, in inglese imperfetto, vengono per lo più sbiascicate, e i pezzi occasionalmente interagiscono con siparietti recitati; sullo sfondo delle canzoni, in lontananza, si odono spesso gemiti, voci imprecisate, rumori più o meno identificati.
L'"Untitled" iniziale evoca le malsane atmosfere care a Tom Waits; inaspettato l'assolo di chitarra in acido in stile King Crimson, - le due citazioni servano per meglio comprendere l'estensione tematica, tanto estrema, quanto accortamente intessuta, che contraddistingue questo lavoro, senza che lo stesso smarrisca una propria identità.
L'ambientazione è resa più oscura e circospetta con la lenta "Underground", viene risollevata dalla rigenerante "Pai nai" - con un'irresistibile sessione ritmica ed uno snodato andamento tribale che imbriglia la chitarra elettrica - per essere poi ingentilita dall'esotica "Pleasure to kill", pezzo acustico dai connotati bossanova.
Sax e basi elettroniche si intrecciano in "Anathem", come ne "Il censore", spinta al limite di un dance alla Boosta. Languida e sognante è "Warwar", una dolcissima ninna nanna psichedelica nello meno sinfonico dei Mercury Rev.
In questo pout-porri di suoni trova spazio anche un bislacco valzer, "Venedig '96 (the cabernet times)", che sarebbe molto piaciuto ai primi Blur.
La cupa "Black" preannuncia la poesia il finale, recitata lasciando sullo sfondo suoni sinistri che sembrano provenire dall'oltretomba, e auspicante una "Suntuosa dissoluzione" "che … ripaghi di una vita polverosa e amorfa".
Benchè mi sia sforzata, anche attraverso citazioni, di costringere in sterili parole quanto ascoltato, ritengo che ogni descrizione risulti eccessivamente riduttiva, quindi ne consiglio vivamente l'ascolto. Notevoli!
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.