l lavoro è davvero ispirato e fresco, nonostante sia l’undicesimo della carriera del gruppo italo/libanese
Alle prime battute di “Cardamom” l’ascoltatore sa già cosa lo aspetta: il ritmo del respiro si fa lento e appare un mondo altro, nel quale il tempo s’è fermato, i luoghi hanno sapori mediorientali, ma le emozioni sono quelle universali come l’amore, la speranza, il timore…
È attraverso gli occhi di Nura, novella Giulietta in terra Israeliana, che viviamo una storia impossibile, percependo in noi il desiderio e cercando riscontri al nostro difficile sentimento nella enigmatica Gerusalemme, luogo di devozione e motivo di guerre, densa di simboli e ricca di cultura.
Abbandonandoci alle note delle nove tracce, attraversate dai pensieri e dai vissuti della Nostra, possiamo essere catapultati tra le mura di quella cittadina per sentirne gli odori di spezie, i suoni accattivanti e i colori vivaci. Eh sì, perché le canzoni dei Radiodervish hanno il potere di proiettare l’ascoltatore, grazie ad ogni possibile artificio e magia, all’interno di ambienti sereni, i contorni dei quali si delineano man mano, attraverso il fluire sonoro: i testi sono racconti che lasciano trapelare visioni ed emozioni, il cantato di Nabil, leggero e corposo ad un tempo, muta idioma con naturalezza per tessere intrecci narrativi multilinguistici e dolci, mentre le note fondono assieme stilemi occidentali e mediorientali (quest’ultimi magnificamente marcati in Cafè Jerusalem) per creare equilibri ricercati e seducenti.
Passeggiamo, quindi, in “Promenade” con Nura, assaporando con lei nostalgia e attesa, prestiamo attenzione in “Hakawati” alla diversa chiave di lettura della vicenda amorosa che propone il cantastorie, viviamo in “Love in Jerusalem” e “Musrara” l’amore come possibile e gioiamo in “Jaffa Gate” per il sogno diventato realtà. Alla faccia della nostra Giulietta, che non aveva il lungimirante cantastorie, ma una badante opportunista. Densa di espressività è “Out of time”, ultima traccia che ci riporta al quotidiano con la sua commistione di suoni strumentali, cinguettare di uccelli e vociare di bimbi.
Basata principalmente su toni caldi e acustici, la gamma sonora è amplissima e magistralmente studiata: le molteplici timbriche delle percussioni sono il tappeto per le evoluzioni di bassi, chitarre, tastiere e altri strumenti ricercati come il bendir, autore di quella vibrazione che si ripete cadenzata in “Hakawati” (sì, non è la nostra cassa che ha problemi, ma è colpa di un tamburo a cornice le cui origini vengono dal nord Africa!).
Il lavoro è davvero ispirato e fresco, nonostante sia l’undicesimo della carriera del gruppo italo/libanese, che, lungi dal ripetersi, si mette sempre in gioco sbilanciandosi più verso la canzone d’autore o verso la world, scegliendo un’impostazione più vicina al jazz oppure al pop o all’elettronica. La combinazione di Cafè Jerusalem è perfetta, ancora migliore, se è possibile, di "Centro del mundo" e "Beyond the sea".
---
La recensione Cafè Jerusalem di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-05-26 00:00:00
COMMENTI