Un disco a cui non manca niente se non, ancora, quello stacco di personalità che fa la differenza.
Tutti quelli che suonano, scrivono, dipingono, insomma si dedicano a una qualsiasi forma di espressione artistica, hanno dei modelli, è giusto e normale che sia così. Qualcuno li dichiara apertamente, altri preferiscono affermare di “voler somigliare solo a loro stessi” - come se poi fosse possibile, nel 2000 e passa.
Gli At The Weekends appartengono al primo gruppo, quello di chi non ha timore di professarsi “figlio di”: nello specifico, la band laziale ammette il proprio debito nei confronti di, fra gli altri, Death Cab For Cutie, The Strokes, Get Up Kids, ed è una cosa molto onesta, così come oneste sono le loro canzoni. Il problema è che non riescono ad andare oltre questo, a farti dimenticare, anche per un attimo, i nomi fatti sopra.
I ragazzi sono bravi, sia chiaro, e l'album non può certo definirsi brutto, però lascia una sensazione di incompiutezza, come se dietro le sfuriate american indie, i cori à la Coldplay, le malinconie da primi National, spingesse per venire fuori qualcosa di più, la capacità (o il coraggio) di mischiare le carte in modo che la combinazione risulti diversa dalla solita “fine '90 inizio 2000”.
At the Weekends, quelli veri, quelli capaci di, non dico superare i maestri, ma almeno mettersi su un'altra corsia, se ci siete venite fuori. Siamo fiduciosi.
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La recensione U di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-08-04 00:00:00
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