Mauro Pagani
Domani 2003 - Cantautoriale

Domani

Questo è il disco di un cantautore. E non di un ex della Premiata Forneria Marconi, del manipolatore di “Creuza de mä” e “Le nuvole”, o di uno dei migliori produttori italiani. Mauro Pagani ha già fatto i conti con il suo passato, e, a tredici anni di distanza da “Passa la bellezza”, ritorna con un disco intenso e, per certi versi, spiazzante.

“Domani” è un tutto un programma sin dal titolo: è tabula rasa dei ricordi, un attracco al molo del presente, immune da nostalgie e ricco di brillanti fascinazioni. E Mauro Pagani non ha voluto privarsi di nulla, è proprio il caso di dirlo; registrato negli studi delle sue “Officine meccaniche”, il cd può contare su di un numero impressionante di musicisti che hanno regalato all’opera” un suono dominato da arrangiamenti ricchi e per nulla scontati, a volte complessi ma al tempo stesso equilibrati. Se infatti la title-track brilla per la sua semplicità (piano, archi e voce in evidenza) e per un testo che si colloca in bilico tra una confessione e una dichiarazione d’amore nei confronti della vita, nei minuti restanti si vola ancora più in alto. Con un suono ammantato dalla world-music (“Per sempre”), da ammeticciamenti in salsa elettronica (“The big nothing, con Raiz alla voce, - e Peter Gabriel applaudirebbe convinto - “Sarà vero”, la flamenca “Quiero”, la, ehm…, basagliana “Psycho P.”) e da momenti più classici, cantautorali, appunto, o, se preferite, pop. Prendere ad esempio “Parole a caso”, cantata e scritta assieme a Morgan (si sente!), canzone che ha il grande merito di affievolire il naturale (o apparente?) snobismo del leader (ex?) dei Bluvertigo; passare poi attraverso “Fine febbraio”, altro duetto, ma questa volta in combutta con Ligabue, per finire alle delicatezze di “Gli occhi grandi” e della conclusiva “Ding ding”.

Come da manuale del perfetto cantautore, Mauro Pagani approfitta delle liriche per sferrare fendenti che fanno male: “Nessuno” è un manifesto della televisione berlusconiana e di certo non potrà mai passare nemmeno per sbaglio tra le reti Mediaset (al contrario degli stornelli musicati dall’artista del popolo Mariano Apicella) e, c’è da scommetterci, neanche tra quelle della ‘concorrente’ Rai. “Fronte freddo” (cito: “Stringo forte mia figlia e la sua meravigliosa innocenza a termine”… bei versi, sul serio) è invece uno struggente viaggio tra le contraddizioni della Cuba castrista, descritta senza retorica e partigianeria. Due episodi, questi ultimi, che possono convincere anche il più scettico sul valore di quest’album, cantato con passione vera ed una innocenza che non possono lasciare indifferenti. Uno splendido sessantenne che nel booklet saluta senza ritegno il ‘concittadino’ Lawrence Ferlinghetti, ultimo portavoce di quella beat generation citata, con la parole di Allen Ginsberg, in “Alibumayé”: non un riferimento nostalgico ad un’epoca che non c’è più, ma l’attualizzazione di una scuola che ha lasciato pesanti tracce sul cammino di tanti artisti. Mauro Pagani incluso.

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