Il quartetto fiorentino presenta se stesso come una band di psychobilly, riproducendo, anche esteticamente, alcuni degli stilemi del genere: cantante donna nel ruolo di domatrice/dominatrice, maschere da luchadores messicani, riferimenti ai b-movie horror, canzoni sull’alcol, una cover sparatissima del classicone “Peggy Sue” ed un contrabbasso in evidenza e bello aggressivo.
Il disco è divertente, approccio alla produzione live, i pezzi sono compatti, brevi, trascinanti, immediati, non si perdono in autoindulgenza o orpelli, gli assoli di chitarra sono spediti ed essenziali, le percussioni sono serrate e scricchiolano a dovere. Tutto ok, tutto tra le Horrorpop (se non altro per la voce femminile), un mood vintage alla Dick Dale ed i Meteors meno garage, meno brutti e cattivi.
Ed è questo il punto. Quello di cui, invero, difettano Contessa e ad i suoi Squires è proprio quella cattiveria, quella disperazione, quel profumo –o, meglio, puzza- di strada che dovrebbero caratterizzare il genere: non si può essere psychobilly senza essere, per l’appunto, psicopatici come i Demented Are Go o malvagi come i Mad Sin o sgraziati come lo erano gli Spamabilly Borghetti o crudi e crudeli come i Bone Machine. Non basta cantare delle canzoni sulla birra, intendo dire, si rischia di sembrare –perdonate la schiettezza- anche un po’ dei chierichetti al confronto.
La strada del rock’n’roll però, lo sappiamo, è lunga se si vuole arrivare to the top, e questi ragazzi hanno dalla loro non solo l’entusiasmo e un ottimo groove di base, ma anche ampi margini di miglioramento e di ricerca della propria personalità.
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