Nello stesso periodo in cui il Regno Unito registra il boom di immigrati italiani, i May Gray pubblicano il loro album d’esordio, “Londra”: un nove tracce con cui la band modenese prova a cogliere le mille sfumature che gravitano intorno al concetto di viaggio. Sebbene i May Gray si dichiarino grandi fan dei Foo Fighters, a conti fatti il disco è un pop rock cantato in italiano e forse più simile a una versione cazzuta dei Negrita.
Cercando “cazzuto” in qualsiasi dizionario troverete due accezioni particolari: una positiva, se riferita alle persone, (nel senso di “in gamba”), l’altra negativa, riferita alle cose ( nel senso di “scarso valore”). Il primo album dei May Gray lascia esattamente con questa sensazione: trovarsi di fronte a dei musicisti che ci sanno fare, ma che non hanno saputo concretizzare il tutto in un disco degno del loro potenziale. Se infatti da un lato si apprezza la formula classica di “chitarre-basso-batteria”, capace di dar vita a un bel suono massiccio e pulito, non si può certo dire che “Londra” abbia dei veri e propri pezzi trainanti, title-track in primis. Il brano che colpisce di più - forse l’unica vera canzone che vi rimarrà in testa dopo un paio d’ascolti - è la traccia d’apertura, “Tormentata baby”. Già da questo pezzo, tuttavia, si capisce che il song writing è senza dubbio il punto debole di questo esordio. I testi dei May Gray scivolano indolori così come nell’eterna lotta tra il rock e l’italiano è qui la nostra lingua ad avere la peggio. Non tutti sono i Fast Animals and Slow Kids e la sensazione che i pezzi di “Londra” avrebbero guadagnato molto di più se cantanti in inglese mi ha accompagnato fin dal primo ascolto. Tutto sommato non me la sento di dire che l’esordio dei May Gray sia un brutto disco, ma allo stesso tempo mi ha lasciato perplesso in più di un’occasione: c’è ancora tanta strada da fare, ma sono fiducioso.
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