Un disco country-folk ben suonato e ben scritto che riesce, con le canzoni, nell'intento di "attraversare il fiume", salvo però trovarsene uno più largo davanti, per via di una produzione molto datata
Cross the river, attraversare il fiume. Questo è l'intento manifesto di questo secondo disco dei Nashville & Backbones, band riminese attiva da oltre quindici anni e con sonorità di base che mescolano il country, il rock e il folk irlandese.
Andare oltre questa etichetta un po' imposta, dunque, è sicuramente uno degli obiettivi principali di "Cross the river", che infatti sperimenta non poco: accanto al bluegrass di "Stone" e al folk di "Thinking of you" compaiono per esempio il tex-mex di "Clueless" o il prog tastieristico di "Stood on the hill". O quel suono ibrido, di pop tinto di calypso e di reggae, che si sentiva piuttosto spesso negli Eighties: in tal senso "Spirit of the summer" è un'operazione filologica sorprendente.
Molto buono anche il livello compositivo del disco, che ha diverse belle canzoni, dalla vocazione pop ("Stone", "Coming home", "This song"), ed è cantato e suonato in maniera tecnicamente ineccepibile, con il significativo apporto degli ospiti (tra cui Enrico Farnedi, Hilario Baggini e Claudio Cardelli).
Dopo ripetuti ascolti rimangono solo due perplessità: la prima è sull'eccessiva lunghezza dell'album, perché - nonostante siano diverse tra loro - 14 canzoni dalla durata media di quattro minuti (con il picco di 12 della suite che dà il titolo all'album) sono tantine.
La seconda è sul suono, in generale, del disco: ben calibrato, ben arrangiato, ben suonato come detto, ma molto datato. A prescindere dai cambi di stile, "Cross the river" suona come una produzione medio-mainstream di fine anni Ottanta (si ascoltino pezzi come "Hold me" o "Photograph"): anche i pezzi folk, per esempio, ricordano le scelte sonore di un lavoro come "Fisherman's blues" dei Waterboys. Un capolavoro, certo (per chi scrive uno dei dischi più belli di sempre, nel genere), ma diciamo che dal punto di vista dei suoni (l'equalizzazione delle voci, delle chitarre, del piano) non è esattamente invecchiato benissimo.
Rimane perciò l'interrogativo sul perché i Nashville & Backbones abbiano optato per un sound in studio così freddo e pomposo: ottenendo sì l'effetto di aver attraversato il fiume, con le canzoni, ma solo per poi trovarsene, con la produzione, uno ancora più largo davanti. Quello che li rischia di separarli non solo dagli ascoltatori più giovani, per cui già la scelta di genere può essere un discrimine, ma anche da quelli più aggiornati. E sarebbe un peccato.
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La recensione Cross The River di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-09-30 09:15:00
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