"Rap is Dead". E Anto Paga è proprio sicuro di avere la coscienza pulita?
“Rap is Dead” non è solo il titolo dell’album, ma una sacrosanta verità.
Introdurre l’autore del disco con educati e distaccati giri di parole risulta superfluo quando a farlo ci pensa già egregiamente la piccola biografia, apprezzabile per la modestia, fornita dallo stesso: “difficile non aver ascoltato una delle sue canzoni. Lui è Anto Paga, uno dei rapper più famosi del momento, con singoli come "Unica come te", "Ringrazio" e "Mi manchi". Nato il 27 ottobre del 1995 a Como, il suo nome anagrafico è Antonio Pagano. Tra i segni particolari, la passione per il pugilato e il rap.” Queste premesse, pur non richiamando alla mente le incredibili gesta del Nostro, mi hanno aiutato ad arrivare preparato allo scempio che avrei ascoltato di li a poco.
L’ep si compone di sette tracce, una delle quali fatta in due versioni differenti, ed è facile analizzarle in maniera organica. Ci si trova di fronte infatti a un opera con dei suoni qualitativamente ben curati, anche se in alcuni tratti troppo plasticosi, ma con pezzi che trattano temi molto profondi utilizzando così tante frasi fatte e scontate che sembra quasi (quasi?) che tutto sia stato preso e studiato a tavolino al solo scopo di fare breccia nei cuori impreparati di adolescenti malleabili.
“Non aver paura”, canzone contro la violenza sulle donne, contiene le stesse considerazioni facilmente ritrovabili nelle riviste per teenager (cose tipo "so che dentro stai male, ma anche il sole tra le nuvole non smette di brillare" o "a te che sei bella come la luna, come il sole, come le stelle"), oltre che ad un’irritante ripetizione delle stesse tre-quattro parole (“sorriso”, ad esempio, lo si ritrova tre volte solo nella prima strofa). L’amore distrutto di “Ciò che resta” invece logora e abbatte, ma Anto riesce comunque a darsi forza ricordando a se stesso e a chi non l’avesse mai sentito o non c’avesse mai fatto caso, che “dopo il temporale esce sempre l’arcobaleno”. A prender parte alla sagra della banalità poi ci sono anche l’intro “Secondo round”, autocelebrativa come i peggiori cliché del genere impongono, e “Lascio il passato”, straziante squarcio autobiografico di un vissuto che noi comuni mortali potremmo solo immaginare.
Qualcuno ha ucciso il rap, ma son sicuro questa volta l’assassino non sia il maggiordomo.
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La recensione Rap is Dead di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-10-30 00:00:00
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