I Sovversione sono un altro dei gruppi che esce sotto l’egida della RedLed records, etichetta che di release in release rende sempre più chiare sonorità ed intenzioni. Anche in questo caso si tratta di una formazione che del crossover fa il proprio pane quotidiano - e per crossover intendo quello suonato dai Rage Against The Machine o dai primi One Minute Silence, ovvero quel misto di influenze rap, funky e metal che nel tempo abbiamo imparato bene a conoscere.
Chiaro è che di tempo ne è passato da quei giorni, e in questo “Più che una parola” si possono individuare, nell’ amalgama sonoro, elementi assenti nel periodo antecedente l’esplosione del genere a livello mainstream. Succede, ad esempio, che in “Benvenuti all’ inferno” (cui partecipa anche Sandokan dei Banda Bassotti) si può ascoltare in chiave attuale il lamento del calmo blues dei detenuti nel braccio della morte. Oppure il remix drum‘n’bass di “Senza storia”, che già in versione plain vanilla soddisfa a pieno con le sue sonorità che si ricollegano direttamente all’ hip-hop italiano, grazie all’uso della madrelingua, e con il suo testo di accusa verso i politicanti, preoccupati più di conservare la loro posizione di potere e rendita che di far realmente qualcosa di costruttivo per la società. Perché, è bene sottolinearlo, in linea con la politica della label, anche i Sovversione, fedeli al nome, non si risparmiano nell’attacco critico al sistema di cui non condividono etica e metodi.
Alcune assonanze forse eccessive con i caposcuola (vedi i R.A.T.M. spiccicati in “Media control”) possono forse - a primo acchito - maldisporre, ma il tutto è comunque realizzato a dovere e senza insistere su una sola influenza, stando perciò in equilibrio su un solo piede. Certo ora la band può definirsi oramai ‘grande’ - avendo quasi 6 anni di vita sulle spalle - ed è quindi giunto il momento di raccogliere il proprio bagaglio e fare un altro passo verso la completa identità, elaborando una miscela sonora ancor più personale. Perché oramai le capacità tecniche necessarie sono ampiamente acquisite e la duttilità stilistica non può che soddisfare e far ben sperare nella volontà e creatività dei Nostri bergamaschi.
Ma solo quando quest’ultimo gradino verrà superato, potremmo dirci veramente soddisfatti delle nuove leve italiane in campo crossover. Fino ad allora, questo “Più che una parola” si rivelerà comunque una piacevole compagnia per quelli che non disdegnano il ‘more of the same’ se servito come si comanda.
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