Debutto di spessore per questa giovane band cagliaritana artefice di un buon neo-soul dalle pronunciate tinte jazz. “The Greatest X” è un lavoro letteralmente caleidoscopico, nel quale converge tutta una tradizione di colori, echi e influenze che, proprio perché black, ha radici profonde e sporche. Stiamo parlando del groove, del ritmo, dell’odore acre e sensuale del sudore fresco.
L’opera dei Sanchez è tutto un equilibrio sul filo di quella “tensione consapevole” di cui parlava il critico Peter Guralnick riferendosi alla soul music degli anni ’60: trae dal gospel sia la drammaticità e l’emotività del canto e dell’espressione, ma anche un accentuato senso della misura, della modulazione, della forza che non può, come nel funky, essere lasciata senza redini, ma deve rimanere sempre controllata entro confini di coolness -di freddezza o compostezza, se vogliamo tradurlo in italiano- che si è data da sé.
Coolness è, dunque, la cifra stilistica di questo lavoro che attinge a piene mani dal soul e dall’r&b contemporaneo: evidentissima l’influenza della tromba di Roy Hargrove, della grazia dei Flying Lotus e, sulla voce femminile, di Erykah Badu e, allo stesso tempo, della robustezza del sound di D’Angelo. Non è, inoltre, estranea alla band la fascinazione per certi echi cosmici alla Lonnie Liston Smith, in particolar modo nel tappeto sonoro di piano e synth dello strumentale “Ensanchatized” o nella coda psichedelica di “Fear Builds Walls”.
Non è una materia facile da affrontare la soul music e le sue propaggini, lo sappiamo, ostica per i musicisti ed ancor di più per il pubblico, in modo particolare per una band italiana che lo voglia fare con rispetto filologico verso i massimi esponenti del genere: ma i Sanchez meritano incoraggiamento, perché, con questo lavoro, hanno dimostrato, mettendosi in gioco, di avere la stoffa per poter dire la loro.
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