Un incontro tra folk e cantautorato da veder crescere
Un incontro tra il suono tenue, levigato degli schemi cantautorali più classici e la melodia corposa, radiofonica del folk che, quando attacca la spina, ruggisce di impeto ed energia. Un linguaggio musicale la cui gamma espressiva partecipa dell’influenza di Fabrizio De Andrè, Massimo Bubola, Bandabardò ma che, sul piano dei contenuti traslati in testi, non riesce ad essere totalmente convincente. Un lavoro dall’ambizione intellettuale e letteraria che suona come un sincero omaggio agli idoli di sempre ma che, tuttavia, si perde nell’elaborazione della parola in lirica. Ascoltiamo attentamente la versione della band.
"Alla sagra dell’entropia" il principio è il caos: gli astemi iniziano a bere come spugne, i preti si sposano, il denaro ha lo stesso valore di un fallo, l’amore viaggia e si perde, la bellezza sfiorisce nel tempo, ogni stella brilla ma può essere morta. Come un vortice che inghiotte ciò che cattura, il pezzo procede attraverso una trascinante versione folk giocosa e divertita. "Sinfonia" è la "Princesa" di De Andrè, la sua "Bocca di rosa", che vive in strada facendo la prostituta e che desidera ciò che la vita non può darle: l’amore. L’accostamento è subitaneo ma molto meno raffinato. "Raccomandazioni dal sud", in formato dialettale, rimane la traccia migliore dell’intero album; ci si legge dentro quella spinta narrativa fatta di inquietudine e rabbia di chi vuole raggiungere il meglio per sé, scontrandosi con una lacrimosa realtà. Ne "Il lato ipomaniacale" l’oscillazione tra opposti stati umorali ci fa credere di essere onnipotenti, per poi verificare l’inesistenza dei miracoli, l’inutilità degli antidepressivi, concludendo che non esiste malattia mentale quanto solo una inspiegabile tristezza che a volte arriva e improvvisamente se ne va. Alla luce di ciò siamo tutti folli. "Tancredi e Clorinda" si fa siparietto letterario richiamando alla memoria "Tristano e Isotta" di Bubola. Vuole essere letterariamente intellettuale ma vince la melodia sull’importanza della parola, sulla sua scelta evocativa e sul senso che vuole trasmettere. "La poesia degli insulti" è un canto arrabbiato al vetriolo, scabro e crudo verso chi vive nell’ingiustizia, non reagisce al sopruso e denigra chi è indifeso.
Ecco la mia versione: un album che ha un buon punto di forza, quello di far muovere i piedi sulla spinta di un’energia irrefrenabile e sincera. Da far crescere e perfezionare la liricità dei testi per compiere un interessante legame tra folk e cantautorato. Ma è solo la mia versione in mezzo a quella di tanti altri ascoltatori che avranno modo di giudicare da sé.
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La recensione Il Ballo dell'Orso di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-11-20 00:00:00
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