Coez
Niente che non va 2015 - Cantautoriale, Rap, Pop

Niente che non va
06/10/2015 - 10:00 Scritto da Stefano Pistore

Niente che non va nel diventare grandi

Oltre ad essere un bellissimo film di Uberto Pasolini, Still life è quel termine usato per indicare la rappresentazione di oggetti inanimati. Tutti possono mettersi alla prova con gli still life in fotografia, le difficoltà sono (apparentemente) poche e basta avere una macchina fotografica. Il risultato finale non dovrebbe quindi essere molto differente da uno scatto a un altro, senza grosse distinzioni fra un professionista e i fotografi della domenica. In realtà, oltre a problemi tecnici relativi all'illuminazione, questo tipo di foto richiede innanzitutto una grossa personalità: è la persona che fa la differenza, il modo in cui vede i dettagli, il modo in cui percepisce le emozioni e il mondo che lo circonda. "Still Life" è anche la traccia che apre "Niente che non va" e ascoltandola è chiaro che la musica di Coez è proprio come le fotografie scattate a quegli oggetti inanimati: apparentemente facile da fare ma in sostanza fragilmente complessa.
Il brano è anche una vera e propria introduzione all'intero album, in pochi minuti sono percepibili almeno quattro dei temi principali sviluppati in maniera più completa durante il resto del disco: la consapevolezza che gli avvenimenti passati siano causa di nostri comportamenti (anche involontari) e nostre scelte (anche involontarie): "Ho perso qualcosa ma nella mia stanza, ho perso la donna che amavo, non l'amavo abbastanza / Ho perso una parte di me che non tornerà, probabilmente ne avevo abbastanza". Il superamento di certe cattive abitudini: "Dovevo far pace con il mio vecchio, perché l'odio ti strozza, il tempo che perdi in fondo nessuno te lo ridà". Un atteggiamento più positivo nei confronti della vita rispetto alle produzioni passate con la voglia di trasmettere messaggi di speranza: "Ho perso sei treni, ce n'è sempre uno dopo, e tu non credere a chi ti dice che ti rimane una sola chance / Fosse stato per loro dovrei essere morto". E per finire, quel "mi troverai qui" ripetuto un paio di volte nel ritornello, come a sottolineare che il disco non è stato realizzato solo per soddisfare e ingrandire il proprio ego ma è rivolto soprattutto a chi ascolta, è rivolto a chi ha bisogno: la terapia non è più solo per Coez ma anche per tutti coloro che ne vogliano usufruire. Altruismo evidente nella title track dell'album dove seppur dipinte situazioni comuni, riconducibili a chiunque, è chiaro come il destinatario sia una terza persona, quella terza persona che ascoltando certe parole avrà la possibilità di rispecchiarsi e magari riuscire a superare certe paure.
Beninteso, quella malinconia che tanto ha contraddistinto i versi Coez è sempre presente, basta ascoltare "Niente di che", "Jet", "Ti sposerai" o "Le parole più grandi", ma è un lato oscuro ovattato e sicuramente più ironico se paragonato a brani come "Dramma nero" o "Siamo morti insieme". C'è più spazio per raccontare storie diverse, storie di altri, come quella presente in "Dove finiscono le favole" o come quella narrata nella dura e coraggiosa (anche musicalmente) "Costole rotte", ma soprattutto c'è più spazio per lasciare segnali positivi: le crisi ci sono per tutti, e possono intrattenerci in qualsiasi periodo della nostra esistenza ma si possono superare, devono essere superate. Molto significativo a riguardo un passaggio contenuto in "Jet": "E non so bene chi sei ma se mi cerchi, divisi non abbiamo senso come semicerchi". Coez sa già che là fuori lo aspetta qualcosa di buono, qualcosa di adatto a lui. 

L'opinione comune che Coez fosse molto più bravo a scrivere rime che a fare il cantante non è condivisibile. Anzi, in "Senza mani", uno dei suoi ep, la necessità di esprimersi in altre forme era talmente sotto gli occhi di tutti che salvo qualche eccezione i brani meglio riusciti erano proprio quelli contaminati dal canto. Se dopo "Senza mani" Coez avesse continuato a scrivere canzoni rap sarebbero usciti degli album mediocri perché chiaramente non c'era più quell'esigenza di comunicare con quella determinata forma espressiva, il che non esclude che un domani Coez torni a sputare rime sui 4/4. È normale poi che i miglioramenti possano sempre sopraggiungere, come sono arrivati da un punto di vista canoro paragonando questo nuovo disco al precedente, se una cosa è certa però è che Coez sta raggiungendo proprio quel livello artistico che nelle numerose interviste rilasciate nell'ultimo mese ha spiegato di voler raggiungere: l'indipendenza dalle etichette, riuscire a sfuggire alla classificazione. Fra gli ascoltatori rap questo concetto è già dato per assodato da molti, quando si parla di Coez ormai si fa riferimento a un tipo di sound, a un tipo di impostazione, unica nel suo genere, è come se si parlasse di un marchio, di una garanzia. Pian piano se ne accorgerà anche il resto dei suoi ascoltatori e Coez non potrà che sorridere.

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