Un omaggio alle età d’oro del rock quello dei La categoria dei pesi variabili, che in questo senso ha il suo brano simbolo in “Nuvole in viaggio”, brano che riesce nella non facile impresa di coniugare che vengono dal Jimi Hendrix di “Third Stone from the Sun” (che a sua volta saccheggiava la ritmica di jazzisti come Sun Ra, di cui mi viene in mente “Space is the Place”), agli Area di “La mela di Odessa” (non a caso Demetrio Stratos viene esplicitamente citato alla fine del brano, concepito come omaggio al cantante greco), a Brian Auger (lo sento nel riff ipnotico dell’Hammond, ma posso sbagliare riferimento), perfino a Giorgio Gaber (l’inizio del testo ricorda gli stilemi del teatro-canzone del cantautore milanese).
Gli stili attraversati e riferimenti citati sono diversissimi e percorrono decenni diversi: sarebbe inutile e prolisso citarli tutti. Basti dire che questo caleidoscopio sortisce l’effetto non di far apparire la band priva di una direzione e di una personalità, ma al contrario in possesso di una linea artistica ben precisa. Il prodotto finale, però, non mi convince fino in fondo: mentre la parte musicale dei brani mi pare spesso (ma non sempre) ben riuscita, mi sembrano meno a fuoco voce, eccessivamente carica, e testi. Anche se non sempre artisticamente risolto, specie quando scivola verso il grottesco (come in “Saturnali futuristi”), resta un disco interessante e merita un ascolto.
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