Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti (sì, quello dei La crus), titolari della premiata ditta The dining rooms, con “Tre” hanno fatto centro. Bel disco, che appassionerà quanti hanno amato e amano tutt’ora ciò che è stato sfornato e prodotto negli scorsi anni da Kruder & Dorfmeister, Roni Size e 4 hero, e ora da Zero 7 e Mustiq. I due milanesi sfornano un disco che trasmette una sensazione di grandi spazi, che vive come ore privilegiate il mattino o la notte. Insomma i momenti in cui tutto pare assoluto e infinito. L’opener “Tunnel” è davvero una bella canzone: ampia, calorosa, valorizzata dalla grande voce di Sean Martin, scoperta del duo Ghiottoni-Malfatti. Sembra di volare tra le nuvole. Ed è piacevolemente fine il tappeto di piano che sottostà alle tastiere. Il successivo “La città nuda” è un bel d’n’b, teso, con sfumature jazzy, sicuro di sé. Da macchina di notte. “Fluxus” si fa apprezzare per l’inizio con archi degni del ’700 musicale, su cui si leva una voce blues, un po’ in stile Moby. Gran classe quella di “Flamenco sketches” cantata da quella Anna Clementi già con i Tosca. Che sfodera una bella melodia, che ricorda certe cose dei Lamb nella successiva “Dreamy smiles”, introdotta da un piano sognante. “You” è più movimentata, con una chitarra quasi funky: ma il piano rallenta il pezzo, non lo fa partire. Nel complesso, l’unico brano che appare un po’ troppo lungo e ripetitivo. Dopo la jazzata “Cinemaroma 3”, che evoca i night club anni 60, arriva “Fightin' 4 rebirth” dove la voce di Sean Martin sembra la versione maschile di Billie Holyday, ma con la tristezza del Lou Reed di “Berlin”. Allo stesso modo, Anna Clementi, in “Astro black”, pare imitare il modo di porre la voce di Francoise Hardy o Brigitte Bardot . Il movimentato “African loungesters” è costruito sul campionamento di cori africani: e per fortuna siamo ben lontani dalle cartoline senescenti di Vecchioni. Impeccabili anche “Prigionieri del deserto” (musica da grandi spazi, si diceva, no?), “Existentialism(milano dub mix)” preso per mano da una tromba struggentemente jazzy, e la conclusiva “Anima per amarti”, dove un arpeggio di chitarra quasi pop rock quasi inganna: ma poi l’incedere del pezzo si rivela chiaramente nu soul e nu jazz. Disco che si ascolta e riascolta imponendo con naturalezza il replay automatico. Bravi.
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La recensione Tre di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-03-21 00:00:00
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