“Le Piromani” è l’album d’esordio da solista di Teo Manzo. Dell’esordio ha quel carattere ancora imperfetto di ciò che si può migliorare, ma le strade che s’incrociano continuamente lungo le sedici tracce, per un totale di più di un’ora di musica, sono imboccate col passo deciso di chi le conosce da tempo.
Di influenze ce ne sono tante, e spesso non sono nemmeno tanto velate: l’importanza di De André per questo disco è evidente da subito nell’essenza stessa del lavoro, un concept-album come non se ne sentono quasi mai nella musica moderna, dove la chiave di ogni episodio è la melodia di una chitarra acustica sempre al proprio posto, che non ha paura di farsi accompagnare dal piano e pure da leggeri soffi di elettronica (già in “Polvere e sole”, poi in “Placenta”, per tornare altrove nel disco); poi c’è Guccini, c’è Fossati, c’è, insomma, la tradizione dei cantautori che hanno fatto la storia del genere in Italia.
La spina dorsale che attraversa tutti i brani è la storia di un astronomo, Allen Meyer, che perde l’illusione che reggeva la sua vita, cioè l’amore per la donna amata. Quando questa si ammala di un male incurabile e, inesorabilmente, muore (in “Buco nero”), tutte le illusorie certezze dell’astronomo crollano, come la luna che minacciava di cadere. È proprio la morte dell’amata la chiave di volta della storia: l’astronomo perde se stesso e la sua ragione, adesso il suo unico desiderio è scomparire, non essere e non esistere più.
In questa trama che va seguita con attenzione lungo tutto il disco, come si seguirebbe un film denso ed intenso, si inseriscono temi di più ampio respiro: oltre alle illusioni e al pensare comune, c’è il rapporto tra eterno e terreno, un continuo scontro-incontro, dove il moderno fa incessantemente da contraltare all’antico, così si parla di “stelle elettriche” (nel secondo brano, omonimo), di ricerche su YouTube (“Lo strano caso dell’incendio all’anagrafe”), di stazioni della metro (“Doors open on the right”); accanto alle allusioni e alla modernità ci sono l’arte e la letteratura, in cui la poesia è padrona dei testi e rivela una capacità di scrittura non indifferente.
Non voglio togliere la curiosità di seguire il crescere della tensione fino allo scioglimento finale, né di ascoltare ogni brano attentamente per scoprire le sfumature di parole che si combinano in un’alchimia di sensazioni e suggestioni, ma ci sono episodi che vanno notati. Tra questi, “Lo strano caso dell’incendio all’anagrafe”, dove gli archi di Martino Pellegrini si coordinano con la chitarra acustica di Teo e creano un’atmosfera che brucia del fuoco del piromane. Ed è proprio “Le piromani” che viene dopo e delle piromani stesse determina l’inesistenza, la stessa via che sceglierà il protagonista di questa storia dove fantasia e realtà camminano sempre una accanto all’altra. “Canzone breve” ha qualcosa di autobiografico nel dichiarare di non amare cantare poco, ed è il grido dell’astronomo che immagina di rivedere l’amata: “perché quando ci sono non mi consideri e poi quando non ci sono mi desideri, come le cose che non esistono più. Sarà che forse non esisto?”. “Delirio e sollievo” si apre al suono della cornamusa e sono le sensazioni provocate dal ricordo della donna scomparsa.
Ma i due brani migliori, anche se diversi l’uno dall’altro, arrivano dopo: “La leggenda della Luna” (quasi 7 minuti e mezzo di brano) e “I ragazzi del ’99”. La prima è la voce della Luna che risponde alle accuse (e all’invidia) della stella polare, di una stella cadente, poi del Sole e di una stella cometa. E la Luna rimane sempre così austera e rispondendo fa quasi tenerezza. Le nuvole chiare di elettronica non oscurano mai l’intensità della voce, né la ripetizione degli accordi, anzi li valorizza e li illumina di una luce più forte. Probabilmente il brano migliore di tutto il disco. La seconda guarda al pop e azzecca un gran bel ritornello, orecchiabile e piacevole, da ricanticchiare anche alla fine del disco.
Insomma, “Le Piromani” è un disco impegnato e impegnativo, questo non si può negare. Richiede tempo per essere ascoltato e ancor di più per essere capito e assimilato. Teo svuota il sacco di tutte le sue capacità, di tutte le influenze e le esperienze, ma nel farlo riesce a non rinunciare a se stesso, cosa non sempre facile. Certo, qualcosa va sistemato, perché l’equilibrio tra le influenze e l’originalità non è sempre rispettato e a volte sempre di scivolare nel già ascoltato. Ma ha puntato molto in alto e ha fatto bene. Per raggiungere la Luna bisogna lavorare ancora un po’, ma la strada è stata intrapresa col coraggio e il piglio deciso di chi ce la farà. Prendetevi un’oretta e ascoltate questa storia, ne vale la pena.
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