Breakfast
Ordinary heroes 2004 - Rock, Pop, Alternativo

Ordinary heroes

Con l’album d’esordio del 2001 i Breakfast convinsero tutta la critica musicale, compresa la nostra testata. La loro psichedelia dal gusto retrò, unita ad una forma melodica ideale, incantò tutti, tranne il pubblico, che non potè goderseli per via di inghippi promozionali.

Da quell’esperienza, Enrico Decolle e Maurice Andiloro hanno tratto insegnamento e quindi vagliato attentamente tutte le clausole prima di concedersi alla Mescal. All’etichetta di Valerio Soave hanno affidato quindi “Ordinary heroes”, non solo il secondo capitolo della loro storia ma un lavoro che convince dall’inizio alla fine, senza cedimenti di sorta. Tra ballate e viaggi psichedelici, il duo ci regala quaranta minuti di viaggio nella ‘normalità’, raccontando le storie di ‘eroi comuni’, quelli di tutti i giorni, che nessuno sbatte nelle prime pagine patinate; quelli che commettono atti eroici, appunto, ma anche deboli e fragili nell’animo, in quanto esseri umani innanzitutto. Confusi e persi, a volte, ma sempre pronti a lottare ed a battersi per la loro dignità.

I riferimenti musicali si rifanno a un po’ tutta la scena inglese capitanata dai Beatles, compresi figli e nipoti (serve fare un elenco?), ma anche alla nuova psichedelia che negli anni Ottanta trovò terreno fertile soprattutto negli Stati Uniti. Dei Beatles l’accenno è relativo al secondo periodo, quello dell’infatuazione psichedelica, dove la ricerca, la meticolosità e l’attento lavoro in studio emersero in tutta la loro bellezza.

Anche i Breakfast si propongono con questo approccio, accostandosi ai numi tutelari anche grazie all’innesto di archi e sitar. Emblematico l’esempio di “Chocolate for the prize”, dove lo spirito di George Harrison sembra aleggiare nell’aria con le sue prime sperimentazioni di sitar nella musica psichedelica, ma rinato oggi con il supporto dell’elettronica. Un brano come “Let me be” sembra incurante del tempo, viaggiando contemporaneamente tra passato, presente e futuro, tra hammond e basi electro-pop, tra feedback e melodia, tra noise e voce femminile. Tornano prepotenti i Beatles anche in “What if…”, per una “Come togheter” dei giorni nostri, mentre il violoncello di Roberta Castoldi abbellisce una “Take me home” già affascinante di far suo. Merita menzione anche il finale dell’album con “Remember”, una traccia da titoloni, intensa, evocativa, di rara bellezza.

In definitiva Maurice ed Enrico confezionano un disco ricchissimo di ‘rimandi’ ma già forte di un’identità propria, al di là dei riferimenti ad altri predecessori. Se il supporto promozionale sarà adeguato, questo è potenzialmente un prodotto da esportare che potrebbero invidiarci oltre confine, soprattutto oltreManica…

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