Qualcuno li ha definiti "il segreto meglio custodito del rock italiano". Speriamo che da oggi non siano più un segreto per nessuno
Il segreto, per definizione, è quello che uno nasconde dentro di sé e non rivela a nessuno. È quello che il medico, l'avvocato, il prete, devono mantenere per motivi professionali. Il segreto è recondito, in disparte, nascosto. Ma custodire dei segreti è anche la chiave per sapere, muovere i fili dalle quinte, conoscere più degli altri perché la conoscenza è potere. Dietro le quinte si muovono gli esterina, band al quarto album che qualcuno ha definito “il segreto meglio custodito del rock italiano”.
esterina, come una canzone di Antonello Venditti che nei primi versi dice: “Esterina / questa casa no / non è casa tua / è una terra che non sa capire / che succede nel tuo piccolo cuore”. Quella canzone parlava del conflitto israelo-palestinese, ma astraendo quei primi versi dal loro contesto, quella canzone parla anche di tutte le donne. Tutte le donne degli esterina sono selvatiche e provinciali, profumano di muschio e angoscia, ed esterina stessa è “una donna minore. Vive sola, per quanto ne è capace. Non ama i suoi parenti e li cerca fuori dal suo sangue. Dorme nella casa sul limite del bosco da dove si vede il mare di Viareggio”.
Le donne, come “Puta”, una bambina costretta dal padre a prostituirsi. Le parole degli esterina sono dure, inquadrabili nel realismo, ma quanto mai necessarie per non edulcorare una storia di sconfitta e desiderio (“Io sono una puttana / mi devi volere tanto bene / se vuoi restiamo insieme / ma lo sai che non va bene”); lo stesso per l'amante di “Mutande”, col suo tono da stornello volgare, da canzonaccia paesana (“Com'è bella, com'è interessante / com'è intelligente quando porta le mutande”) che si infrange in una coda di fiati che ricorda il prog e le bande delle feste patronali.
Il tema della famiglia, rifugio e angoscia, rifiuto e dipendenza, torna spesso nelle parole degli esterina, così come quello del luogo di appartenenza, evidenziato anche da alcune scelte linguistiche dialettali (“Quell'estate e la tu' zia / la donna che non t'ha buttato mai via”): in “Fabula sangue”, con quella madre sola e vuota come una stanza; in “Stesse barche” in cui irrompe tragico il tema attualissimo dell'immigrazione, dell'abbandono della propria terra e della necessità, quanto mai viva, di fratellanza (“C'è chi è nato qua / chi è nato altrove e casa sua è una paura / di passare una barriera, un mare, come una tortura / e non si sa sa / se attraversare porta tutti da qualche parte / se mio fratello, Dio e la legge sono sulle stesse barche / Dimmi te perché / ti riguarda anche te”).
“Dio ti salvi” è un disco importante in questo momento non solo a livello di contenuti, ma anche perché si tratta di un disco puramente rock, che non segue nessuna tendenza del momento e non ha nulla di contemporaneo o innovativo di per sé, ma sceglie la strada di un'intoccabile autenticità in una scrittura solida e a tratti commovente, forte nella forma-canzone, in cui le chitarre che tanto devono al post-rock sanno dialogare con i fiati, arrangiati con maestria contrappuntistica che rende i brani formalmente perfetti.
Si avverte la cura che gli esterina mettono nel rifinire ogni brano, che si tratti di ballate al chiar di luna come “Canzonetta” e “Fabula sangue” (che chiude ex abrupto l'accorata coda strumentale), o rocciosi brani rock come la stupenda “Stanno tutti bene”, in cui ancora una volta i fiati danno personalità a un'offerta timbrica già molto variegata. Questo per dire che si può ancora fare del buon rock, ben suonato e ricco di contenuto, e soprattutto si possono ancora fare dischi in cui tutti i brani, dal primo all'ultimo minuto, siano veramente fondamentali per la statura dell'intero album. Questo richiede un tipo di ascolto a cui forse siamo disabituati, e anche in questo gli esterina fanno una scelta controcorrente, come inserire brani della durata di oltre 6 minuti. Ma gli esterina meritano tutta la nostra attenzione: è quanto meno doveroso ascoltare davvero un disco che trasuda così tanta cura e autenticità, un disco di canzoni belle e importanti.
Qualcuno li ha definiti “il segreto meglio custodito del rock italiano”? Speriamo che gli esterina da oggi non siano più un segreto per nessuno.
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La recensione Dio ti salvi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-12-21 00:00:00
COMMENTI (1)
Gia nel precedente "come satura", gli Esterina si erano distinti per una proposta estremamente personale e lontana dal concetto, tanto caro ai nostri giorni, di "facile consumo". Con questo "dio ti salvi" proseguono il discorso laddove lo avevano interrotto, ampliandone il concetto. Le loro, non sono semplici canzoni ma piccoli, imprevedibili viaggi, nei quali il paesaggio cambia in continuazione, ma dove il sole raramente illumina, semmai scalda. Si perchè la loro psichedelia un po lugubre, è spesso il contrappunto, la scusa, per aperture melodiche di rara intensità, capaci di rapirti irreversibilmente. Influenze dei Talk Talk dello splendido "spirit of eden"(la batteria di "pantaloni corti" , o la tromba anarchica in "stanno tutti bene") si mescolano alla psichedelia piu introspettiva dei Motorpsycho(disco 2 di "Timoty's monsters"), con quelle code in crescendo che fanno la differenza tra "ascoltare" e "sentire". Con "Sovrapporre" , il pezzo che io amo di piu, ci fanno entrare nella loro chiesa e, come burattinai dei sentimenti, ci impongono il loro culto, che non richiede dogmi ma la semplice capacita di lasciarsi andare ed emozionarsi. A sancire il patto, "fabula di sangue" che arriva dopo l'unico episodio con un apertura piu "pop","mutande", dove un testo sgraziato e "superficiale" ne sminuisce le potenzialità, quasi a ribadire che le loro scelte musicali tutto sono tranne che figlie dell incapacità di farne di diverse. Insomma, piu che un disco, un regalo; di quelli per i quali non vi è necessità di un occasione speciale per ricevererlo dato che è il regalo stesso a renderla tale. piu di cosi.....