Ancora un altro passo notevole nella maturazione sonora degli A.D.. Partiti da radici crossover, imparentati con i Rage Against The Machine sia per sonorità sia per attitudine, hanno saputo non solo svincolarsene, ma anche introdurre massicciamente nel loro sound l’elettronica, sfornando nel primo split della RedLed con i Neurodisney due tracce meticcie di drum‘n’bass e metal assolutamente travolgenti. Ma la band trevigiana non si è fermata, e con “Radio Insurgentes” fa un balzo avanti, spiazzando parzialmente chi si aspettava una versione più elettronica e rap-core del metal proposto dalla scuola dei Fear Factory.
Gli A.D. invece accolgono in maniera decisa nel proprio ordito sonoro ciò che negli anni ha saputo plasmare l’elettronica di stampo industrial. Il contributo di Madaski non è quindi un caso, siccome già nel suo progetto solista ripropone sonorità con piedi e cuore nella scena EBM-dark, soprattutto tedesca, spaziando tra un metal leggermente più domo di quello proposto dai Rammstein - o anche dagli Umbra et Imago - e la melodia frammista a ritmi techno di gruppi come i Covenant.
“Disobbedire e disertare” apre a dovere il disco, con un crescendo reminiscente dei panorami grigi e devastati evocati dalla harsh-techno dei gruppi di casa Ant-Zen (come Asche e Converter), ambienti sonori che si ritroveranno costantemente per tutto il resto dell’ album. Si prosegue immergendosi nell’impegno militante del gruppo, il cui credo disobbediente costituisce la spina dorsale stessa del progetto, con brani come “O.C.P.”, attacco alle compagnie petrolifere (e non solo) che costruiscono oleodotti in Sud-America, o anche “Yael”, sull’ irrisolta situazione palestinese.
Grazie a sonorità aggressive di cui andrebbe fiero Alec Empire, “Radio insurgentes” riesce ad esprimere tutta la rabbia ed il rancore evocato dai testi. Molteplici gli ospiti, a voler ricercare alcune delle voci più significative nella musica italiana; in particolare, tra le tracce risultanti da queste collaborazioni, meritano la citazione “Tierra o muerte” (brano dalle sonorità più vicine al precedente split, che celebra i 10 anni della nascita del movimento Zapatista in Chiapas e vede la partecipazione di O’ Zulù di Al Mukawama e 99 Posse) ed “Alveare” (assolutamente notevole, sia come testo sia come catartica processione industrial-noise).
Le tracce sfilano quindi creando un muro d’astio compatto e il risultato è caustico e opprimente, come deve essere dare uno sguardo alle realtà di odio e violenza che degradano il nostro mondo. Ma è un risultato di tutto rispetto, sicuramente una proposta che sfida sul piano estetico l’ascoltatore medio, e che non mancherà di suscitare controversie anche sul piano ideologico per alcune posizioni - come il non nuovo parallelo tra la politica nazista e la politica israeliana verso i palestinesi - dalla difficile digeribilità. Se lo scopo era lanciare un sasso è stato raggiunto appieno, e gli A.D. non devono né intendono nascondere la mano.
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