Il 25 giugno 2007 usciva "And End Has A Start", il terzo album degli Editors. Fu un album molto importante, per tutta una certa scena che, chi in maniera più evidente chi in modo più sfumato, si faceva generalmente al mondo post-punk, soprattutto desunto dall'esperienza dei Joy Division (non a caso proprio in quell'anno usciva anche "Control", il biopic su Ian Curtis di Anton Corbijn). Nonostante siano ormai trascorsi otto anni da quella cuna temporale, gli Zombiero Martìn non si discostano troppo da questo mood, in una specie di "riesumazioni delle carni e dei tempi" che si consuma nel loro ultimo album, "Fur Laboratory Skin Maker".
Il trio di Fano (che conferma una volta di più il grande fermento musicale della provincia di Pesaro/Urbino) rilascia un lavoro molto denso, suonato in modo deciso e convincente su cui domina, verrebbe da dire stra-domina, la voce baritonale di Stefano Gasparini, che suona anche la chitarra. Numerose quindi le note positive, soprattutto per quanto concerne gli episodi in cui la new-wave si mescola con il garage-rock, come nella quinta traccia, "Redback".
"Fur Laboratory Skin Maker", a partire dalla cura per il comparto iconografico, è un disco che si impone come qualcosa di, al contempo, radicalmente innovativo e classicamente retrò. Innovativo perché i vari generi proposti si amalgamo alla perfezione, come ad esempio in "Robots" , che parte quasi come un vecchio blues del Missisippi per poi evolversi in una cavalcata potentissima basso e batteria, con le chitarre che tagliano l'aria con riff che ricordano, in certi momenti, The Hives.
Ma gli Zombiero Martìn suonano anche classicamente retrò dicevamo, come del resto confermano le atmosfere di "Skins", che sembra quasi essere presa di peso da un b-side non ancora ritrovato dei primi Warsaw. Tra l'altro la stessa "Skins" è accompagnata da un suggestivo video in stile Atari realizzato da Mattia Beltutti: un racconto acido e corrotto di una notte, una fatale notte, passata tra droghe sintetiche, abuso di alcool e amori proibiti.
In fondo proprio questo è, in ultima analisi, "Fur Laboratory Skin Maker", ovvero dodici tracce di rivoluzioni stellari, percorsi attraverso le suggestioni, le mode e viaggi nel baratro della nostra anima. Almeno sino a quando si potrà ancora desiderare: "We would see the moon crawling into us".
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