Natura e cosmo rappresentano ancora oggi le due fonti d’ispirazione dominanti per ogni buon progetto post rock che si rispetti (con tutte le riserve che il termine si porta dietro): la prima evocata dalle dilatazioni strumentali e dalle tensioni ritmiche, il secondo dalle deflagrazioni improvvise e dai bagliori sonori. Il tutto, possibilmente, assemblato con organicità e collanti concettuali di rito. Se poi, alla fine, salta fuori anche un minimo di trascinamento emotivo il gioco è fatto.
Bene, La Teiera di Russell segue a suo modo la ricetta della casa senza azzardare ingredienti nuovi: il combo piemontese nulla toglie e nulla aggiunge alla formula collaudata dai vari Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Explosions In The Sky e compagnia bella. Qui si parte dal concetto di numero (come del resto già il titolo “NMR” preannuncia ermeticamente) – da intendersi come categoria misteriosa e cangiante – e poi lo si sviluppa attraverso traiettorie strumentali dalla tenuta altalenante, prevedibilmente imprevedibili nella loro struttura, dove l’abuso di geometrie orchestrali di scuola Tortoise e triangolazioni ritmiche à la Karate il più delle volte sembra complicare la faccenda piuttosto che addomesticarla: su tutte quella stessa “Dogma quindici” che sembra risolversi solo nella sua parte più kingcrimsonianamente anni ’70 (la Parte III della suite).
Tutto il resto viaggia su frequenze oltremodo familiari per gli amanti del genere – compresi gli inserti decongestionanti di piano e le voci recitanti (“La teiera della staffa”) – con qualche notevole sterzata sparsa qua e là, come nelle apprezzabili cromature fusion di “Pezzo da 35”, che alzano i gradi Celsius degli ambienti, o la pioggia umorale della 6 corde, dai colori cobalto, di “Mathcalina”.
Ingombranti padri putativi a parte “NMR” rimane un’opera prima per nulla marginale, considerato l’evidente rapporto d’indiretta proporzionalità tra la giovanissima età del trio di Mondovì e la confidenza palesata da quest'ultimo con gli strumenti.
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