Affascinata dal concerto cui avevo assistito dei Black Eyed Susan, aspettavo con ansia di ascoltare anche il loro cd, primo lavoro ufficiale e primo bersaglio colto!
Avant-rock, post-rock, indie-rock, comunque lo si voglia chiamare, quanto elaborato dal quartetto bresciano si concretizza in un miscela estremamente suggestiva ed intensa, contraddistinta da atmosfere cupe, suoni ruvidi, entusiasmanti aperture, dissonanze e armonie, in grado di penetrare lentamente per poi sprigionarsi con foga dirompente.
Così accade sin dal brano d’apertura, “Welcome” - il miglior ‘benvenuto’ che si potesse ricevere nelle viscere della musica - in cui incalzanti stati di attesa, rimarcati da un petulante riff di chitarra, insistono sino a che l’attenzione non è stata catturata, ed una volta raggiunto lo scopo la gettano in pasto a travolgenti distorsioni. Assolutamente appassionante anche l’intermezzo chitarristico rievocante i Calla i “Televise”. Stessa dinamica in “Fake reality”, in cui però l’atmosfera è meno oscura facendosi più veemente e nervosa.
Predominante è l’aspetto strumentale, che oscilla tra il noise ed il melodico, rivelandosi complesso senza tuttavia eccedere in futili sperimentalismi o rimarcati virtuosismi; le voci si alternano, a volte si incrociano, con approcci diversi personalizzando i motivi, come in “Running backword” in cui una sofferta voce femminile segue la linea di una snaturata chitarra producendo con la stessa un effetto ‘reverse’. Con irruenza hard si inserisce “Old jackob’s circus”, che si sviluppa su sbilenche sonorità alla Gogogo Airheart,oprattutto nell’uso della chitarra strumento che, per altro, nel corso di tutti i pezzi assume un ruolo di assoluto rilievo costituendo uno degli elementi che danno maggior pregio al lavoro, trovando soluzioni ogni volta diverse, ma perfettamente calzanti, in tutte le situazioni sia a livello ritmico che sonoro.
Un simpatico intermezzo da spiaggia caraibica (“Trick or treat”), spezza per qualche secondo la tensione che ritorna con la desertica “Golden cage”, in cui si inserisce un dolce intermezzo melodico. Spazio anche per ritmi più rallentati con la psichedelica e sognante “13:30”. ed in chiusura la title-track accompagnata da un languido sax.
Senza ombra di dubbio un’ottima prova che soddisfa le mie aspettative, appagando orecchie e spirito! Well done.
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La recensione The skeleton winter di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-04-22 00:00:00
COMMENTI (1)
questo è il migliore lavoro che hanno fatto , and silence will begin soon , fà veramente pena hanno voluto rifare canzoni riuscite in questo album , non più coinvolgenti , ma non ci sono canzoni nuove nella loro testa, hanno solo canzoni vecchie forse sono un pò esauriti,....nella fantasia
forza datevi una mossa o smettete ...