"Un demo, due brani. Poco budget, molte idee. Quali canzoni mettiamo? Mettiamoci questa, che è un bel pezzo da classifica: rock ma non troppo, con le chitarre che non danno fastidio e l’inciso orecchiabile, con i cori, il tappetino di tastiere e tutto il testo. E poi? Poi mettiamo questa, che è un po’ più lenta e malinconica, giusto per far trasparire anche un po’ la nostra vena autoriale, siccome parla d’amore, ma in maniera diversa, come piace a noi giovani, che non amiamo le parole cuore, amore, etc., etc.. Secondo me può piacere. Sì, ma abbiamo un sacco di canzoni diverse… un po’ meno dirette e più problematiche, con gli assolo più fichi. Perché mettiamo proprio queste? Perché sono orecchiabili! Poi nel disco ci mettiamo un po’ quello che ci pare, ma il singolo ci vuole, altrimenti non ci caga nessuno…"
Magari - presuntuosamente - ma ho provato a ricostruire un po’ il percorso che ha portato la genesi del demo (il primo?) dei 4 FeedBack, per tentare di svelare l’arcano che mi ha perseguitato fin dal primo ascolto. Il demo è furbo: non si lascia ‘criticare’ facilmente, i brani sono carini, sopratutto “Precario”, teneramente adolescenziale, con il ritornello alla Verdena (quelli meno rumorosi che passano su MTV), l’assolo non troppo lungo altrimenti annoia, le tastierine messe giusto per il gusto di definirsi un po’ elettronici - ma che sono assolutamente superflue nella dinamica del brano - e poi tutto il resto al posto giusto. Un po’ meno convincente il secondo brano, “Quello che vuoi” ma che non pare poi così brutto.
Allora il problema qual è? Il problema è che i ragazzi sanno anche suonare, sanno anche arrangiare i pezzi e costruirli bene, il ritornello arriva quando deve, i pezzi hanno la giusta lunghezza per passare in radio, ci sono le parti strumentali e tutto quello che serve per non essere equiparati ad una pop band da strapazzo, me sembra tutto troppo studiato. Scarsamente intuitivi, troppo manieristici e condizionati dal fatto di voler per forza piacere al primo ascolto sono tutte caratteristiche che rendono una band che si autodefinisce ‘emo’ scarsamente emotiva, considerando che l’emozione trasmessa filtra attraverso un linguaggio stereotipato e finemente calcolato, senza mai lasciarsi del tutto andare. La malinconia non filtra, non c’è interpretazione, il suono perfetto e ultra definito delle chitarre toglie emozione e personalità ai brani. Le tastiere poi… assolutamente inutili (ma mi sono informato, visitando il sito, ed ho constatato che il tastierista è entrato da poco nell’organico della band, quindi è più che giustificabile lo scarso contributo apportato alla struttura dei brani) anche se in futuro potrebbero essere la chiave di svolta per trovare un sound più personale.
Nessuna critica sul fatto che stiamo parlando di una band adolescenziale, probabilmente composta da ragazzi giovani e che hanno tutto il tempo per affinarsi e crescere artisticamente, magari, come insegnava il buon Guccini, “senza diventare per forza adulti” e parlare sempre il magnifico e spontaneo linguaggio dell’adolescenza, continuando ad analizzarne contenuti, perplessità e frustrazioni, ma con una chiave meno legata al concetto di prodotto musicale e più vicina alla propria interiorità. Meno ragionata, ma più vicina alla vostra anima.
Non cominciate a scendere a compromessi ancora prima che qualcuno ve lo chieda.
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La recensione promo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-05-23 00:00:00
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