Nivem è un bel nome e direi che suona piuttosto bene per un gruppo rock. Probabilmente verrei smentito subito, ma non c’era bisogno - secondo me - di pensare per forza a renderlo un acronimo, a comporre qualcosa che avesse senso compiuto e al tempo stesso riguardasse la ‘natura’ del progetto, nel tentativo di creare l’illusione del tipo: “Non potevamo che chiamarci così”. Il risultato è da enigmisti della domenica: Nacquero Insieme Verso Estremi Musicali (ma che cazzo vor dì?). A me fa un po’ ridere, ma sono comunque d’accordo con coloro che sostengano si tratti di questioni di lana caprina. Veniamo dunque alle questioni serie.
Che cosa vi viene in mente accostando i nomi come Jeff Buckley, Miles Davis (?!), Queen, Audioslave, Elisa, Jimi Hendix, Bruce Springsteen, Muse e U2? Boh?!? A me una pila di cd. Che suppongo sia la stessa che aveva davanti colui che ha scritto le righe di presentazione, tanto che all’inizio un po’ t’impressioni e ti viene già più facile pensare a nature di estremi musicali. Manca solo di renderle plausibili, e ti precipiti a capire come; infili il cd e speri che i lontani echi di questo pout-pourri di mostri sacri o meno ti travolgano. Ma appena senti il risultato ti senti un povero coglione vittima di uno scherzo (tra l’altro di cattivo gusto, secondo me). È falso che si dica che uno solo dei sopraccitati riviva anche unicamente nel fruscio dei vestiti della musica (o dello stile) che fuoriesce dagli amplificatori del quartetto; é falso che si dica che questo è “rock ricercato e mai scontato”, come é falso che si scriva che “ballate e pezzi rock più duro” si alternano dando “dimostrazione di una continua ricerca musicale” (è un po’ come dire che alternare il cacio con le pere da prova di una continua ricerca culinaria).
Tutto ciò che contiene questo cd autoprodotto è una serie di canzoni di rock (più o meno melodico) i cui colori assumono spesso un certo fascino lo-fi, ma che risultano poi di una monotonia assoluta laddove vengono inseriti in una ritmica che si ri-assomiglia continuamente, pezzo dopo pezzo. Lo schema è sempre più o meno il solito: intro a volte accattivanti ma prevedibili, lasciati nella metà dei casi ad arpeggi di chitarra che strizzano l’occhio (un tic di parecchi, a quanto pare) per ritraghettarci sempre allo stesso punto. Rock suonato neanche male - questo è giusto dirlo - ma che al massimo li porta ad assomigliare ai Litfiba del dopo Piero Pelù. In questo una grossa fetta di responsabilità ce l’hanno i testi, che ci cantano di sterili bisogni di fuga (“Scia”) o di rapporti incasinati, confusi, con muse incasinate, confuse (“Cosa riempie un giorno”, “Stella”, “Un’illusione”; e indovinate qual è il messaggio: incasinato?… confuso?), quando non di interiorismi che somigliano a sproloqui, tanto parlano senza dire granché (“Tutto più facile”, “Con la mente e con il cuore”). Un’altra fetta di colpa ce l’ha una voce che ben si salda alla monotonia generale e che troppo spesso si sopravvaluta cercando frequenze e trovandone altre.
Concludendo, ripeto che secondo il mio modesto parere non sia tutto da buttare, ma che ci sia molto da rivedere e credo si debba partire dall’approccio. Specialmente se ci si inserisce in un genere che ha già detto molto, moltissimo, e che ad oggi risulta tanto più digeribile, apprezzabile e a tratti intelligente, tanto meno riesce a prendersi sul serio. Tanto che verrebbe da aggiungere con serietà - creando un ossimoro che sintetizza la crisi generale - il collasso rispetto al quale l’ironia (in quanto forma deviante per eccellenza), pare essere tra le pochissime strade rimaste che è possibile percorrere nella speranza di una qualche salvezza.
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La recensione ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-06-21 00:00:00
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