È un suono che in Italia, più che star risorgendo, è proprio risorto, quello che fonde folk, tex-mex, americana, neopsichedelia e le grandi colonne sonore dello spaghetti western. Se fino a pochi anni fa era appannaggio di poche formazioni (i Ronin su tutti), il gran parlare che si è fatto del magnifico disco "Delone" dei Sacri Cuori, uscito qualche mese fa, ha fatto sì che alcune ottime band con i medesimi riferimenti sonori potessero uscire dalla penombra: una di queste sono i laziali Rubacava Sessions, che condividono l'etichetta, Lostunes, con un altro gruppo meritevolissimo loro conterraneo, i 2Hurt.
E che in questo loro esordio si fanno affiancare da personaggi come Enrico Farnedi (cantautore, ukulelista e trombettista, tra gli altri, con Capossela, Françoise Hardy e Quintorigo), Franceso Giampaoli e Antonio Gramentieri, deus ex-machina dei già citati (e imprescindibili) Sacri Cuori.
Come a dire che il cerchio si chiude, ma anche che si apre, perché i Rubacava Sessions raccolgono l'investitura di questi grandi nomi sfornando un signor debutto, che dà il suo meglio nelle atmosfere dilatate di strumentali come "Rope of sand" e "Adios Greytown!", ma che non è da meno con ballate di frontiera come la title-track "No middle ground", "Electric horse" e "We have come this far", in cui la voce grave di J. Giovannercole conduce sicura nelle praterie già solcate da purosangue come Giant Sand, Long Ryders, Thin White Rope.
Facendo risaltare la componente più melodica e intima dei Rubacava, che ai loro esordi erano partiti come duo acustico chitarra e banjo, per poi accogliere successivamente in formazione bassista, batterista, fisarmonicista e trombettista e giungendo al suono più stratificato di questo pregevole album d'esordio. Del quale l'ascolto è caldamente consigliato, in attesa di poterne verificare il (probabile) grande impatto dal vivo.
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