"Non voglio credere che siano tutti stronzi con quel modo di fare che rende le anime inesistenti" Apre così il primo lavoro di Orfeo, "Le città sulla luna". È un inno all'autenticità, che Orfeo trova solo rifugiandosi in un mondo immaginario, quello del sogno. È per questo che "le costruzioni più belle sono quelle della mia mente / e le costruzioni più assurde sono quelle della vostra mente" diventa un mantra ripetuto in modo ossessivo sullo stesso giro di chitarra e di batteria nel primo brano ("Le costruzioni") e definisce subito la direzione delle altre tracce.
Nonostante l’importanza del sogno, il lavoro di Orfeo parla anche di quotidianità, parla d’amore (e come potrebbe non farlo Orfeo, visto il mito che si porta dietro?) e lo fa in un modo tutto suo, con l’astrazione che è propria del sogno.
E quando si parla d’amore come si può non pensare a "Michelle" dei Beatles? S’intitola così, infatti. Qui Orfeo parla di silenzio e immobilità, del momento in cui "non ci sono più stelle con cui parlare". Potrebbe essere la fine di un amore, quella passeggiata al mare per dimenticare, con l'acqua che accarezza i piedi e bagna le caviglie. Il bello di Orfeo è che riesce ad astrarre ciò che è reale dandogli nuova linfa vitale, elevandolo a un grado dove tutte le sensazioni, belle e brutte, sono amplificate. Il ritmo che le accompagna, in questo brano, è sostenuto fino alla fine.
C’è anche quella corsa folle per inseguirti fino in Irlanda (terzo brano, che s’intitola proprio "Irlanda"), quando la mancanza è forte e si sa che la rincorsa sarà bellissima, ma anche dolorosa. È mancanza e riappropriazione.
Dall’Irlanda alla Sicilia cambia il paese e cambia il clima. Orfeo celebra "Il caldo della Sicilia" in un brano che scorre al ritmo lento del sud, è ancora un viaggio e una ricerca, quella del mare mai visto, ché poi "voglio solo capire cosa devo farci col mare / posso bermelo tutto / cerco un modo per respirare". Sono i chilometri da fare per arrivare fino al mare, è il fatto di arrivarci e non sapere cosa farci. È un po' la metafora della vita in cui è più importante il movimento della meta, è un po’ il viaggio on the road di Kerouac, ché l’importante è andare. Ma è anche "il caldo della Sicilia che mi fa bene / ma è un bene minore se tu non ci sei": è il bello di condividere il viaggio con qualcuno, perché in fondo un po’ di compagnia fa sempre bene.
Orfeo parla di abbandoni, e come puoi non farlo quando perdi Euridice e pur di ritrovarla la vai a cercare fino agli Inferi ed è la musica il mezzo per riprenderla? È così che "Legàmi" illumina "le scosse di silenzi": è il respingersi anche quando si è vicini, sono due poli che non possono stare uno accanto all'altro, è la necessità di abbandonarsi, ché "ogni tanto è utile", per citare Dimartino. E che bello quando Orfeo parla di situazioni quotidiane facendo sognare forte.
"Mi sono punto" e "L’universo", a chiudere il disco, sono la degna conclusione di un viaggio che è reale e immaginario, è il viaggio dell’amore e quello del sogno. La prima è il dolore dell’amore, sono le spine del cuore, le ali al posto dei piedi, l’immaginario al posto della realtà. E quando si hanno le ali si vogliono i piedi, e viceversa, perché in fondo servono entrambi. "L’universo" è la chiusura definitiva che non dà risposte, ma fa domande. Sono domande esistenziali non banali, è la ricerca del segreto dell’universo per capirne i movimenti e l’esistenza, ma anche per evadere verso nuovi pianeti, dove magari trovare pace. E "dai, formiamo una piccola stella / dai, formiamo una cazzo di stella".
Il lavoro di Orfeo è allora un viaggio nel sogno e nell’universo, nella vita e nell’amore, nella gioia e nella mancanza. Gli otto brani sono otto città sulla luna, ognuna con le sue particolarità e le sue caratteristiche, ognuna da esplorare e da capire. Un gran bel lavoro che apre nuove vie di evasione. Orfeo ci sta abituando bene.
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