Il funk è una musica di cui non è facile parlare. Più di altri generi musicali viene dal cuore molto prima che dalla testa, vivendo più di tiro e stacchi fulminanti che non di bei testi.
Il funk - sarà banale dirlo - è fatto di ritmo e giri di basso, di inseguimenti in automobile sulle strade delle metropoli statunitensi alla guida di Ford Torino, con grossi occhiali neri e pantaloni a zampa. Il funk è figlio(ccio) di James Brown, ed è una musica eminentemente nera e americana - poi capita anche che ci siano bianchi non americani che il funk lo sanno fare, come ad esempio il James Taylor Quartet.
Il funk è fatto soprattutto con i fiati, tanti, tantissimi fiati, come ad esempio quelli che hanno da noi le bande di paese, un po’ come la Banda Jonica. E se si incrociasse la Banda Jonica del ‘padrino’ Roy Paci con gli stacchi mozzafiato di Maceo Parker? Probabilmente, vien da dire, verrebbe fuori un disco di funk fatto da una banda.
Voilà... questa in breve la ricetta dei Funkoff, una vera e propria banda di quindici (15!!!) elementi, che come i nostrani complessi bandistici va in giro per le strade, o per i festival, suonando la sua energetica miscela a base di fiati e percussioni - sicuramente più vicina al sound americano Motown che non alle nostre tradizioni popolari. In questo contesto il gruppo si muove assolutamente a proprio agio, senza inventare nulla di straordinariamente innovativo, ma facendo la propria cosa più che bene, anche senza avere un basso o una batteria propriamente detta (ma insieme i quattro addetti alla ritmica - cassa, rullante, piatti e percussioni - non fanno rimpiangere minimamente lo strumento, nemmeno negli assoli).
Il disco è per la stragrande maggioranza strumentale, con un sound decisamente corale (“Top” oppure la title-track), in cui i fiati non lasciano mai spazio alla nostalgia di tastiere o chitarre, senza disdegnare anche momenti dal sapore vagamente più lounge (“1,2,3”).
A regnare incontrastati sono quindi gli ottoni: sassofoni, trombe e sax che tra assoli e stacchi producono oltre 70’ di bandistico ‘funk all’italiana’, concedendo solo qualche piacevole incursione vocale a Gegè Telesforo e Crystal White, in pezzi che, comunque, sono i meno caratterizzati dal curioso quanto azzeccato sound del gruppo.
Proprio questo sound, con la sua carica di energia, mi fa sperare di poterli presto vedere dal vivo - dimensione in cui, ne sono sicuro, questi quindici bandisti possono esprimersi al meglio.
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La recensione Little beat di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-07-10 00:00:00
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