La sensazione di attraversare le nuvole per scoprire cosa c’è dentro, e trovarci la soluzione a tutta questa dirompente malinconia che è nella pioggia costante, nelle scelte importanti che continuiamo a rimandare, nella nostra relazione irrisolta. La prima impressione, nel bianco venato di umori grigi e instabili, è una leggerezza nuova: è come se, per comprimere la tristezza, fosse sufficiente librarsi in un dreamy mood fatto di elettronica, dove le influenze dark sostengono i sogni senza spezzarli.
“Horus” si muove come una lunga, meravigliosa suite tra le nuvole, quasi che ne custodisse i segreti, ed è facile perdersi dietro le curve sinuose di ogni brano, tra le premure sintetiche e le visioni plumbee, tra picchi di speranza e oceani di desolazione. Si alternano ombre minimali e suggestioni epiche, di battaglie mai vinte, di percorsi incompleti, di miraggi e incompiutezza, e tutto è perfettamente calibrato per prenderti e portarti via.
Un disco di fascino e incline alla bellezza, ideale per attraversare le nuvole nell’uggia di questi giorni, e scoprire che dentro forse non c’è esattamente la risposta che cercavi, ma l’esperimento che aiuta a dondolarsi in cavalcate oniriche, in ondeggiamenti flessuosi, nella necessaria finestra dove affacciarsi ogni tanto per ricordarsi di sé.
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