Gli Slaves of Love and Bones realizzano un ep per certi aspetti paradossale e per altri deludente
“La freccia appare in movimento ma, in realtà, è immobile: in ogni istante difatti occuperà solo uno spazio che è pari a quello della sua lunghezza; e poiché il tempo in cui la freccia si muove è fatta di infiniti istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi”. Così recita il cosiddetto “paradosso della freccia”, ideato giusto secoli e secoli fa dal filosofo Zenone, paradosso che bene si adatta all’ep “Real Fake Music” degli Slaves of Love and Bones. La band di Avellino infatti costruisce sette canzoni attorno al concetto del “paradosso”, sviluppato secondo diversi gradienti musicali, tutti comunque con punti in comune fra loro.
Ad esempio omogeneo lungo tutto l’ep è il sapore freddo e glaciale della wave suonata, la quale non lascia mai trasparire un momento di incertezza, un attimo di esitazione o quell’istante che “sporca” lo show ma lo rende anche più vero. Perché, parimenti alla freccia “scoccata dall’arco” di Zenone, anche gli Slaves of Love and Bones pur, apparentemente, muovendosi, rimangono cronicamente fermi. In “A Final Solution”, quarta traccia dell’ep, la band si esprime bene attraverso delle sonorità che ricordano certi passaggi dei Placebo ma non pare riuscire mai a rompere una sorta di diaframma che rende tutto distante e particolarmente algido, anche nei passaggi più “caldi e duri”. Un trionfo di synth per cuori rapiti dall’inverno e che difficilmente si sveglieranno, con il ritiro dei ghiacci, a primavera.
È un album ben suonato, con modulazioni armoniche gradevoli e curate (alcuni coretti davvero interessanti) ma non “muove” ad emozione, a forte emozione. Si rimane lì, freddi ed assorti, ad assistere ad una gara di abilità tra arcieri che scoccano frecce immobile. Un trionfo della stasi, non proprio della creatività.
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La recensione Real Fake Music ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-01-21 00:00:00
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