Roberta Gulisano
Piena Di(s)grazia 2016 - Cantautoriale, Sperimentale, Folk

Piena Di(s)grazia
25/02/2016 - 09:55 Scritto da Giuseppe Catani

La regia è di Cesare Basile, ma al centro della scena c’è Roberta Gulisano con il suo neorealismo postmoderno.

Alla voce produzione figura il nome di Cesare Basile. E non è un semplice particolare. “Piena di(s)grazia” deve non poco alle atmosfere di “Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più”, l’ultima fatica discografica del musicista catanese. Dalle quali Roberta Gulisano si abbevera, brandendo la medesima integrità morale, abbracciando quel folk (blues?) rurale che racchiude tradizione, passione, memoria.

Facile capire quanto siano distanti i giorni di “Destini coatti”, da quell’esordio per certi versi sofisticato, sbarazzino, contiguo al jazz. Per la cantautrice di Enna la rivoluzione è copernicana, è un voltare pagina in modo deciso, un cambiamento radicale, un mettersi a nudo di fronte al dominio incontrastato della trimurti denaro-potere-sopruso. Banchieri, preti, sfruttatori del lavoro altrui, consumismo, aguzzini vari: un tempo avremmo fatto ricorso alla definizione, ormai stantia a dire il vero, di “canzone di protesta”, oggi potremmo parlare di neorealismo post moderno. Invettive, testi crudi (anche in lingua madre), conti da regolare con una vita che ci sfugge di mano, indifferente agli stravolgimenti in atto (“Controcorrente” è dedicata ai migranti). La fiaccola dell’anarchia vigila su nove pezzi duri, rabbiosi, pieni di pathos. La voce icastica di Roberta Gulisano si muove al loro interno alla stregua di un’eretica fatta e finita, come una cantastorie (inevitabile il raffronto con Fabrizio De Andrè) dedita alle preghiere laiche (“Ave Maria”), attenta alle distorsioni della nostra società e a un passato sepolto con eccessiva fretta (“La brigante” ricorda i tempi dell’unione d’Italia e della lotta contro l’usurpatore piemontese), completando l’opera con il ricorso a chitarre acide, suoni desertici, pennellate acustiche, rigurgiti à la Nick Cave, non disdegnando l’attenzione nei confronti della melodia.

“Piena di(s)grazia” è un disco diretto, senza mediazioni di sorta. Colpisce all’obiettivo, quello di fornire contenuti forti a una canzone d’autore a volte sin troppo autoindulgente. Riuscendoci in pieno.

 

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