Ninefold Motel 2003 - Crossover, Nu-Metal

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Devo confessarvi una cosa: non mi sono mai entusiasmato per l’ondata emo che ha travolto molto punk e indie-rock di oltreoceano da ormai diverso tempo. La cosa mi risulta sgradita soprattutto in ambito punk, dato che, salve poche felici eccezioni nel post-hardcore, star a sentire quelle lagne, pur ben suonate, mi sfinisce. Per intenderci sono sempre stato uno di quelli che preferiva di gran lunga i Deftones anteriori a “White pony”, uno che gli Alkaline Trio non se li è mai filati, uno che di tutte le centinaia di band che negli USA hanno deciso di lasciarsi ispirare dal carrozzone di turno ne salverebbe forse una ventina (Thursday? Red Animal War? Endzweck? No, questi son giapponesi, non contano).

Capirete quindi che, quando un mio amico mi propose di ascoltare questi Ninefold (definendoli ‘emo-post-nu-metal-qualcosa’), non mi fossi esattamente lasciato prendere dall’entusiasmo. Mi ero infatti immaginato una sorta di gruppo nostrano a là Staind, magari senza morti in famiglia su cui piangere.

Quanto mi sbagliavo! Mi atterra così questo cd nella posta, lo squadro e decido di ascoltarlo in un ritaglio di tempo. Avevo intenzione di far altro in contemporanea, ma pian piano mi rendo conto che qualcosa non va nello stereo. O nella capacità espositiva del mio amico. Ma chi diavolo sono questi? Ma sono davvero italiani? Ma quando è uscito ‘sto disco? Perché nessuno mi ha avvisato adeguatamente? Grandissimo cd, bisogna premettere - e forse lo avrete intuito. Raramente ho avuto occasione di ascoltare un gruppo capace di combinare così tanti elementi in maniera naturale ed uniforme. Non a caso adoro le band che non riescono a stare musicalmente ferme, i brani che presentano mutamenti stilistici e sonori, le piccole ‘easter-egg’ elettroniche sullo sfondo delle chitarre - in una sola parola l’imprevedibilità. E i Ninefold riescono a dare una varietà alle loro canzoni davvero notevole, fin dall’apertura, caratterizzata da campionamenti vocali in loop e un diafano beat industrial. Trenta secondi appena udibili per poi entrare nel corpo di “Amnion”, molto più vicino a certi stilemi U.S.A. oscillanti tra l’emocore, il nu-metal e l’indie melodico, seppure - e già qui comincio a drizzare le orecchie - con un gusto e una realizzazione nettamente superiori alla media, lontana anni luce dalla sindrome ‘mezza idea, 4 canzoni’. Un ottimo inizio quindi, che riesce a catturare immediatamente la mia attenzione.

“Doctor zero”, e le tracce a seguire, portano i segni di varie band nu-metal come gli Staind (in effetti un certo passaggio li richiama), i Tool o gli ultimi Deftones - il tutto, chiaramente, virato in chiave più indie. E, nonostante a qualcuno potrebbero sembrare un po’ derivative, rimangono un ottimo ascolto, anzi alle volte sorprendono, come in “The sleeper”, con delle ripetizioni che quasi il tuo lettore cd sembra si sia impiantato definitivamente, o nelle scelte di “Milkbox”, oppure nelle tantissime canzoni che vengono in mente asoltando “Porno tea”. Non mancano anche contaminazioni con l’elettronica (“??”ricorda certe cose industrial-ambient di Chris Vrenna), reminiscenze di Incubus in “Vortex” o di Deftones in “Tester”, sino al colmo dello straniamento quando in “Amigdala”, splendida canzone, viene ripresa la melodia di “Forbidden colours” di Ryuichi Sakamoto (!).

Certo, i bacchettoni potrebbero sedersi e imbastire una gara a chi scova più riferimenti musicali, ma, davvero, a chi importa se il risultato è di tal livello? Non penso di esagerare se scrivo che questa band è a livelli internazionali... roba da far calare le braghe a molte formazioni ben più blasonate. Dovete davvero dargli un ascolto, se il nu-metal e tutto il resto non vi disgustano ad un miglio di distanza.

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La recensione Motel di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-07-17 00:00:00

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