Intimista e intriso di una nostalgia forse frutto del suo essere emigrante, l’esordio di Salvario – all’anagrafe Salvatore Piccione, pugliese classe ‘84 trapiantato a Torino – raccoglie brevi istantanee di un percorso di vita precario, in perenne equilibrio tra la felicità effimera di chi si gode il momento e la malinconia figlia dell’innocenza perduta.
L’innocenza di quando per divertirsi bastava solo il calore del sole e un pallone (“Il mare”), o una passeggiata per il centro città in compagnia di una persona speciale (“Per un istante”).
Tra i conti da pagare e la malinconia per un amore irrimediabilmente compromesso e perduto ("Tutto quello che ho da dire"), Salvario sembra essere bloccato, per citare i suoi stessi versi, in quel lungo e angusto corridoio che separa la dura realtà dal mondo ideale che tutti vorremmo, che a livello artistico diviene la costante di tutto il disco, oltre all’alternanza tra sonorità pop-rock dal sapore bohemien e una più ortodossa – e forse più adatta alla sua natura – chitarra classica da moderno cantastorie.
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