Il loro nome è un omaggio all'eclettismo e all'avanguardismo di Bob James, “ma con più pop”. Il nome dell'album invece l'hanno preso da un condizionatore.
E queste due informazioni onomastiche sono tutt'altro che accessorie per capire cosa aspettarci dall'esordio ufficiale dell'(tocca ripetersi) eclettico quartetto neo-fusion: musica che rinfresca mentre ti fa sudare, come quando arriva la sera a portare respiro dopo una giornata di afa ma, invece di godersi il venticello su un dondolo in giardino, si pensa bene di andare a dimenarsi in pista.
Apre le danze “Afromoon”, un inizio inquietante che si sventaglia in una festa dagli echi tribali. Di una tribù che balla, come diceva qualcuno, lasciandosi dettare i passi da richiami agli anni '70 e '90, dai sapori hippie di “Acquario”, dall'italofunk di “Monica”, dall'ipnotismo vudù di “Rais Montura”, dalle percussioni caraibiche, da quelle bristoliane, dal rosso delle terre d'Africa, dal blu subacqueo, dalle fantasie spaziali di “Da Space” (ispirata, come “Afromoon”, a “Viaggio sulla luna” di Méliès). In una festa senza tema e senza limiti, tranne uno: non darsi limiti. In musica, perlomeno.
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