Irene Ghiotto
POP SIMPATICO CON VENATURE TRAGICHE 2016 - Pop

POP SIMPATICO CON VENATURE TRAGICHE
25/02/2016 - 09:45 Scritto da Emma Bailetti

“Pop simpatico con venature tragiche” dice già tutto: musica pop, a volte più allegra, ma tragicamente intensa.

“Pop simpatico con venature tragiche” è il titolo descrittivo ed eloquente del primo album di Irene Ghiotto. I brani sono squisitamente pop nella musica, ma anche profondamente tragici nelle parole, che spesso si coordinano agli archi (che anche quelli danno tragicità e sospensione) o alle note di un piano.
“Inseguimi adesso, ti porto con me” è l’invito all’ascolto che non poteva che trovarsi in apertura del primo brano, “Mosca”, traccia che ricorda tanto lo stile di Levante. Così come lo ricorda anche la successiva “Strada sbagliata”, dove “quello che voglio dire lo sussurro meglio così”, con una voce dolce, pulita e priva di sfumature, accanto a un pop leggero e un ritornello ripetuto che illumina il brano di ritmo e colori.
“La filastrocca della sera” è una delle migliori: qui i suoni si coordinano con la voce in un magico inseguimento fatto di eco di proverbi rovesciati, utilizzati a proprio piacimento. I giochi di parole e la capacità di scrittura di Irene Ghiotto sono ancora più evidenti; la voce diventa uno strumento come gli altri, imita i suoni dei fiati ed è parte indivisibile della musica, magicamente.
Da qui partono le tracce migliori: tra queste “Ciglia”, dove il respiro affannato scandisce il ritmo, lo stile diventa più individuale e originale, più personale, le parole aprono gli occhi su minuscoli dettagli della realtà, come se si trattasse di lievi gesti visti al rallentatore, tipo il “conto le ciglia che perdo per portarmi fortuna” o il “come puoi dividere la colpa dalla perfezione / se il tempo ti ricorda che niente è una colpa / e niente è perfetto / e niente è per te”. Senso del tragico e venature pop si uniscono, s’incrociano e si completano continuamente.
“Cinque anni” è più vicina allo stile cantautorale, con la chitarra e la voce a scandirne il ritmo, è tutto in armonia, tutto al proprio posto, tutto pulito. “Canzone inutile” invece accelera il ritmo, risulta più veloce e allegra, più simpatica, ma contemporaneamente tragica nel suo “porgi l’altra guancia e fatti calpestare”, è la sofferenza consapevole.
“Gioco di parole” si arricchisce di archi e delle loro vibrazioni, che tintinnano nelle orecchie creando un sottofondo ossessivo e costante, ma mai eccessivo; e poi “Lieto fine”, costruita sulle stesse vibrazioni a cui aggiunge i ritmi ripetuti e scanditi dalle costruzioni vocali, è come un singhiozzo continuo che lascia sospesi per tutti i suoi tre minuti. Alla fine risulta una delle migliori e il suo senso sta nella frase finale: “l’ultima fatica è perdersi” e la successiva “vorrei spegnerti come una fiamma, soffio dopo soffio, soffio dopo soffio”, con le ultime parole che lentamente sfumano e danno tragicità al tutto, rendendo il brano tragicamente splendido.
Ultime due note per le ultime due canzoni: “La sposa” ha lo stile di Elisa, è lenta e segue le note del piano, è un peso sul cuore, è “il vuoto che mi riempie e mi divora”, è intensa e fa riempire gli occhi di lacrime. La voce si alza e si abbassa e rimane sempre attaccata alle note vibranti del piano; “Il nostro orizzonte” è un gioco di allitterazioni e di suoni, da ascoltare in silenzio lasciandosi trasportare dai movimenti delle parole. Progressivamente la voce si alza e comincia a gridare, accompagnandosi agli archi che prendono il sopravvento e fanno vibrare tutti i nervi del corpo, fino ad arrestarsi di colpo e lasciare così, alla fine del brano e di tutto il disco, come se mancasse qualcosa, come se si restasse sospesi.

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