L’impressione generale, a fine giro di giostra, è che questo giovanissimo quartetto della provincia pisana abbia voluto ronzare intorno ai nomi più blasonati della scena alt-rock tricolore dell'ultimo ventennio senza sporcarsi le mani più di tanto. Sì, insomma, Marlene Kuntz, Verdena, Estra e Afterhours presi a nolo per tracciare la strada maestra ma spesso mollati lungo il percorso per far posto a decongestioni acustiche in odor di blues (l’opener “Nociva”) o bluastre sciabolate psichedeliche made in UK (i sentori “paranoidandroidiani” di “Kovo” o quelli lisergico-orientaleggianti di “Scan”).
Appena tre brani inediti, più la cover turbolenta - niente male - di “Datemi un martello” di Rita Pavone, e uno strumentale in chiusura, per raccontare le insidie della società e le (ormai canoniche) paure generazionali, dosando opportunamente sciovinismo ed esterofilia.
I testi non sono propriamente dei colpi allo stomaco né la voce di Elia Vitarelli riesce a ferire più di tanto ma nell’insieme la persistente cupezza del quadro sonoro salva la baracca e infonde nell’ascoltatore una passeggera sensazione di smarrimento esistenziale.
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