“Supernova” è il progetto di Valeria Caputo che, in questa sua versione elettronica e sperimentale, si trasforma in CAPVTO. Ne viene fuori un disco fatto di esplosioni che vibrano nel corpo, come quelle solari che sono uno spettacolo di energia e di calore colante.
L’originalità del disco si sente già in “Blindfolded”, secondo brano, che mischia riff di chitarra con un’elettronica martellante, la voce si adagia perfetta sui movimenti della musica e i ritmi forti e cangianti. È da ascoltare ad occhi chiusi, muovendo testa e corpo in un’unione intima coi suoni. La fine sfuma, lentamente, lasciando vibrare ancora le note e i nervi del corpo.
“Flower Girl” ha una base musicale (almeno all’inizio) che ricorda Björk, il ritmo è più lento e si chiude con un carillon e cori che riecheggiano nella testa, dando a tutto il brano una discreta originalità.
L’omonima “Supernova” è una bomba tribale che continua a ticchettare seguendo ritmi ossessivi che si mischiano, ancora una volta, all’elettronica; le ripetizioni del testo si adeguano perfettamente alla musica; poi esplodono scosse elettriche di chitarre più tipicamente rock. L’unione inconsueta tra esperienze diverse è la ricchezza del brano e di tutto il disco in generale. Insomma, ne viene fuori un brano da paura per 7 minuti e 22 di musica avvolgente, che, dopo 5 minuti, lascia che sia solo una serie di eco (tra voce e delay) a sostenere il brano, con qualche infiltrazione elettronica. È come quel momento di pausa tra un’esplosione solare e l’altra.
“The ocean in the sky” è un incrocio tra jazz, folk e ritmi tribali. Poi la musica di colpo si arresta, sembra di sentire il rumore del mare in sottofondo, e riprende di nuovo. È un oceano immaginario disegnato nel cosmo, è come se la via lattea si trasformasse di colpo in un fiume che sfocia nell’oceano, e tutto l’universo fosse fatto d’acqua, profondo, oscuro e affascinante. In questo brano della voce resta solo un lieve soffio ad accompagnare il dominio della musica.
“Living in a cloud” è quella sensazione di sospensione e movimento, come se ci si trovasse su una nuvola; “Looser” è a sé. Lascia spazio a sonorità molto più orecchiabili, quasi anni ’80, che si fondono con i battiti dell’elettronica. Anche se è lontana dal resto dei brani, trova il suo spazio nel disco ed è un esperimento perfettamente riuscito.
“The river” è lo scorrere dell’acqua che non si arresta mai e trasporta ciò che trova. È totalmente strumentale nei suoi quasi 16 minuti e si capisce che ci si avvia verso la fine, perché è lenta e rilassante. Sono i nervi che tornano a distendersi dopo essersi tesi sotto tutte le martellate degli altri brani.
A chiudere tutto ci pensa invece il remix di “It’s wrong”, che quando sembrava si fosse tutto esaurito in ritmi lenti e rilassanti, riprende a martellare.
“Supernova” allora è un disco sorprendente. Cambia continuamente direzione unendo esperienze apparentemente molto (troppo) lontane e lo fa trovando il giusto punto di equilibrio. È un disco che parla dell’universo, è l’esplosione solare che sprigiona un’energia inimmaginabile, è l’oceano che affascina e spaventa, è il suo lato più sublime e meno terreno. “Supernova” è un disco coraggioso, perché non esita a mettere brani di 7 minuti, o anche di 15, osa e lo fa consapevolmente. E fa bene.
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