Weird Bloom
Hy Brazil 2016 - Psichedelia, Folk, Alternativo

Hy Brazil
08/02/2016 - 10:00 Scritto da Giuseppe Catani

Psichedelia, diamanti grezzi e ballate narcolettiche nell’esordio dei Weird Black

Hy Brazil è il nome di un’isola che, secondo alcuni geografi eretici devoti alle utopie pirata, si trovava al largo della verde Irlanda. Oppure nelle vicinanze delle Azzorre. Questione di poche miglia, in fondo. Galleggiava tra le onde dell’Atlantico, suolo lastricato da strade d’oro occupato da uomini e donne felici, tecnologicamente avanti di secoli rispetto all’homo sapiens medio. Esisteva davvero. Beh, forse… E se esisteva doveva essere per forza una TAZ (Hakim Bey docet). Perché solo nelle zone temporaneamente autonome, in assenza di controllo sociale o di retrogradi seriali poteva svilupparsi una società libera da dogmi e paure. Libera anche di poter nutrire la mente della sua stirpe attraverso massicce iniezioni di creatività libertaria in grado di destabilizzare le certezze dell’Occidente. Fecondando l’intelletto, certo, ma temperandolo a forza di tempeste oniriche e conigli bianchi, in modo da spezzare le catene che immobilizzano mente e cuore.

Sarebbe stato un terreno ideale per i viaggi cosmici dei Weird Black, trio dispensatore consapevole di pillole psichedeliche a bassa fedeltà, sghembe e surreali, stravaganti e visionarie. “Hy Brazil”, il loro album di esordio, nasce con l’idea di rivisitare il sound di Canterbury scheletrizzandolo, riducendolo al minimo, tanto da posizionarlo in un’altra prospettiva. Lontana da sperimentalismi in salsa jazz se non prog, rifugiata tra le braccia accoglienti di una psichedelia freakkettona intrisa di suoni dilatati, a tratti urticanti, lisergici. Il videoclip di “Despite the gloom” è piuttosto esplicito al riguardo, con il cantante Luca Di Cataldo conciato nemmeno fosse Jon Anderson (sia detto con rispetto…) immerso nei suoi oceani topografici, tra giochi di luci degni dei Lighthshow dell’Ufo Club del tempo che fu. È l’immaginario nel quale si immergono dodici diamanti grezzi, compenetrati da suoni acustici ed elettrici, da un basso che scuce e ricuce, da una batteria discreta, quasi accarezzata, da tastiere al peyote (“Hercules The Liger Night Blues”), da una voce dolente. Che danno vita a ballate narcolettiche, senza tempo, disturbanti e apparentemente fragili.

I riferimenti di “Hy Brazil” li offrono gli stessi Weird Black: la psicosi di Daniel Johnston, il cui spirito aleggia un po’ ovunque, in particolare in “In town”, le allucinazioni di Ariel Pink, i crepuscoli disegnati dagli Youth Lagoon. Un condensato al servizio di un song-writing che potremmo definire impeccabile, per quanto legato a un minimalismo esasperato, cercato con ostinazione. E forse è proprio da qui che deriva il suo innegabile fascino.

 

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