Se è vero che i The Hornet's prendono il nome dal fatto che lo studio in cui provavanovenne letteralmente invaso da uno sciame di calabroni, sarebbe stato meglio per i quattro tornarci più spesso in saletta, così da affinare maggiormente le proprie doti, sia compositive che musicali. Intendiamoci, "Oceano", il loro secondo album, contiene qualche idea interessante (ad esempio la coda strumentale, quasi epica, di "Berlino") ma alla lunga, anzi già alla media distanza pare avere le idee troppo confuse per rendersi credibile sulla scena musicale italiana.
La band nata nel 2012 infatti si presenta come "fratta" tra un'anima pop-melodica (evidente nelle linee vocali) e una certa attutidine stoner in determinati momenti chitarristici. Questa "ferita" non si rimargina mai e rende un po' tutte le canzoni di "Oceano" opere incompiute, sospese fra due nature che difficilmente entrano in un dialogo fruttuoso. Forse solo "Poesie in un campo di lucciole" si salva appieno, dimostrando una certa completa maturità, che vira quasi verso il cantautorato e che potrebbe rappresentare il punto di "un nuovo inizio" per i The Hornet's. Insomma, a conti fatti, meglio le lucciole che illuminano le sere d'estate che i calabroni che infestano i pomeriggi invernali no?
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