Qualunque, già, come se andare in giro con l’ombrello aperto in una giornata in cui il sole spacca le pietre fosse un’abitudine ordinaria. Eppure Luca è un ragazzo come tanti, per sua stessa ammissione; da qui l’utilizzo di questo nome d’arte che oggi ha un significato quasi dispregiativo, per cui proviamo a volte ribrezzo. Perché qualunque significa mettere da parte il nostro ego e livellarci al pari degli altri.
Eppure Luca non è poi così uguale agli altri, poiché imbracciare una chitarra e scrivere canzoni che ti vengono da dentro, anche se i talent ce lo fanno apparire come un banale esercizio quotidiano – come ad esempio fare pilates o la cyclette– è una cosa seria.
Luca prende quindi la chitarra e scrive pezzi. Pezzi molto tristi, soprattutto nella prima parte del disco, in cui la pioggia la fa da padrona, oltre all’abuso di una chitarra riverberata che fa molto e forse troppo il verso all’indie rock casalingo o da scantinato.
Ciononostante, a parte quel modo enfatico di cantare, che acuisce ancor di più un senso di angoscia esistenziale degno del miglior Leopardi, la seconda parte dell’album presenta invece una vena critica molto genuina, grazie a testi che descrivono abitudini, pensieri e frustrazioni tipiche del ragazzo qualunque. Un ragazzo che ama, che vuole una vita migliore e che anziché piangersi addosso manda un po' tutti a quel paese, con un crescendo di rabbia che in “Iceberg” – la traccia più lunga e complessa dal punto di vista dell’arrangiamento – trova degno sfogo creativo, nonché uno stile che fa da contraltare a quell’ironico (si spera) vittimismo tipico dell’Uomo Qualunque del giorno d’oggi.
Un uomo da cui probabilmente Luca sta cercando di liberarsi proprio grazie a un disco istintivo e intimo come questo.
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