Procedere a passi lenti, pesanti, stanchi della monotonia e vogliosi di ribellarsi a quel continuo affondare nella terra umida di lacrime. Viaggiare verso nuove mete che possano donare un nuovo significato all'esistenza e scriversi lettere, spedirsele come si faceva una volta, prima di internet, prima degli smartphone. Il viaggio dei Majakovich comincia da qui, dal tentativo di ritrovare un nuovo equilibrio, una stasi momentanea in mezzo al caos di un mondo in perenne movimento. Due anni dopo "Il primo disco era meglio", provano a beccarsi la tanto desiderata consacrazione con il loro esame di maturità: "Elefante".
La title-track che fa da apripista al disco richiama esattamente l'incedere pesante, lento e monotono di una delle creature più grandi del nostro pianeta. Il gigantesco animale che, ad ogni movimento fa tremare la terra, lo fa con calma apparente e senza scomporsi quasi mai, ma la furia è dietro l'angolo, pronta a scatenarsi in qualsiasi momento. La marcia iniziale è un crescendo estetico, a tratti funebre, un richiamo primitivo dolcissimo e lontano come le terre del continente che ha dato i natali ai primi uomini, come la pace desiderata. Poi è la volta di "Aprile", brano con il quale possiamo riassaporare la band del precedente lavoro, la stessa rabbia e la stessa malinconia, le stesse reminiscenze dei Fast Animals And Slow Kids, le stesse piogge sonore in stile Ministri che già ci avevano deliziato e che ora lo fanno di nuovo, con testi e sonorità più maturi. "Diecimila ore", singolo di lancio di "Elefante", si candida a diventare uno dei pezzi più belli composti dalla band: un susseguirsi di emozioni, melodie e violenza che pompano sangue nei nostri petti; ci sono di nuovo i ritornelli da cantare a squarciagola e i testi bellissimi di Sciamannini, non manca proprio nulla. Le atmosfere invernali e malinconiche lasciano presto spazio alle ritmiche veloci e incalzanti di "Casa" e alle sfumature violente e taglienti di "Un gran bel culo" e di "Piero portami a scuola". "L'ultimo istante prima di partire" è la ballad che finalmente rispolvera la tastiera che aveva già incantato in "Colei che ti ingoia", brano del disco precedente che certamente qui agisce da filo conduttore. Nel finale la spinta rimane costante ma l'enfasi iniziale si smarrisce lentamente, eccetto che nella traccia finale "Salvati", un grido malinconico e liberatorio che mette la parola fine anche a questo terzo capitolo.
I Majakovich si confermano una delle band indipendenti più interessanti del nostro panorama, con grandi possibilità di allargare il loro orizzonte di pubblico grazie anche alla "botta" che garantiscono live. "Elefante" continua sulla falsa riga del precedente, svelando una certa maturità da parte di una band che ormai sembra possedere un'identità stabile. Le sonorità, sebbene in perenne e impercettibile evoluzione, sono ormai salde e sarà difficile distaccarsene in futuro, anche se il trio ci ha già abituato a cambiamenti drastici. Per ora, possiamo dire con certezza che abbiamo a che fare con un disco che quest'anno ha tutte le carte in regola per lasciare il segno.
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