11 tracce di british-pop dalla fattura pregiatissima arricchito di accenti psichedelici.
Non fui sicuramente avaro di complimenti quando, ormai 4 anni orsono, incrociai le good vibrations di The Piano Machine, collettivo che ancora a tutt'oggi gira intorno alla figura di Antonello Raggi, consolidando nel frattempo il legame con Francesco Campanozzi (il 50% de Le Gross Ballon). Lo stesso Antonello, in realtà, orbita anche intorno al pianeta Matita, altro progetto interessante del panorama indie italiano.
The Piano Machine, però, rispetto ai nomi passati in rassegna, poco spartisce con l'indie, se non la provenienza. "Elephant in the water" è infatti la prova esemplare di come un'idea col tempo si debba evolvere senza perdere i connotati caratteristici e senza inseguire mode passeggere, avvicinandosi ad un sound che tocca ambiti mainstream senza necessariamente aderire pedissequamente a quei canoni.
E ci vuole una discreta dose di bravura (non dico talento) per imbastire un disco - di fatto l'esordio sulla lunga distanza dopo i 3 ep inaugurali - dove ognuna delle 11 tracce coglie nel segno, suonando sostanzialmente del pop con influenze british. Come ai tempi dell'esordio rimane indelebile il pathos e l'accento tipico di Badly Drawn Boy, tanto da far sembrare Antonello il gemello di Damon Gough.
Faremmo però un torto al progetto se lo riducessimo, ancora una volta, ad un buon tentativo di emulazione - oltre a rinnegare quanto scritto giusto qualche riga più sopra. Perché il Nostro i numeri ce li ha e sono le canzoni a dimostrarlo: dentro questo album ci sono singoloni da paura, tutti di chiara ispirazione beatlesiana ("If a had a time machine", "Jamelle, la stessa title-track) che potrebbero entrare negli airplay dei network di tutto il mondo. Ma c'è anche tanto ottimo gusto quando la scrittura vira verso la psichedelia orientata al pop ("Ghosts are coming", "I open my eyes"), forse la cotta più grossa del progetto se dovessimo stilare un bignamino di generi passati in rassegna. Sorprendentemente affascinante, infine, è la suite di 8' battezzata "Fish funk", il cui titolo racconta solo in parte l'atmosfera complessiva; ovvero non ci si riduce solo al funk ma da lì si parte per abbracciare (ancora una volta) la psichedelia.
La chiusa di "Ask for more" è poi la chicca a cui i fratelli Gallagher farebbero una corte spietata, visto che è la ballata che manca loro da almeno tre lustri.
Bravi, bravi, bravi.
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La recensione Elephant In The Water di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-09-28 00:00:00
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