Gli Atomic Ants sono l’esempio vivente del fatto che il crossover gode di buona salute, nonostante molti lo diano per morto o moribondo. Il loro lavoro - sia chiaro - non rivoluziona nulla, ma è proprio cimentandosi con energia e in maniera mai banale con stilemi ormai classici del genere (o dei generi) che gli Atomic Ants riescono a valorizzare ancora questo tipo di musica.
Tra le influenze, buona parte del crossover più melodico (gli Incubus e i Papa Roach di “Infest”su tutti), e soprattutto i Faith No More (omaggiati esplicitamente con l’intro di batteria di “Cupid”, ricalcata su quella di “Midlife crisis”), da cui riprendono, tra le altre cose, il gusto per l’eclettismo e l’uso attento delle doppie voci.
I riff sono molto decisi, spesso sorretti da un tappeto di tamburi, come nel caso particolarmente riuscito di “Mariah”. Pregio raro, gli Atomics Ants praticamente non sbagliano un ritornello: quasi sempre coinvolgenti ed estremamente diretti, trovano l’emblema migliore in quello di “John g”, davvero trascinante, in cui il charleston in controtempo e il basso che gioca sulle ottave hanno un ruolo di primo piano. Gli intermezzi (spesso modellati sul basso) sono fatti apposta - com’è tradizione - per tirare il fiato prima di ripartire, ma troppo spesso, proprio quando dovrebbero affondare il colpo, si perdono in assoli tanto virtuosistici quanto inutili, fino all’eccesso dei 45” di assolo di “Shitman”, francamente stucchevole. La vocazione all’ibridazione dei generi è ben sintetizzata da “Fidji”, che parte come un funky puro, prosegue virando verso il crossover (con una chitarra distorta) e sfocia alla fine nell’hard-rock. Più ironici che altro, invece, gli inaspettati inserti melodici che punteggiano “From dusk till dawn”, titolo di rodrigueziana (e tarantiniana) ispirazione. “Shitman”, l’ultima traccia, gioca invece la carta del riffettone blues, che, per quanto abbondantemente già sentito (vedi Rage Against The Machine), funziona sempre; notevole, poi, l’apertura con tanto di chitarra acustica che precede la chiusura dell’album con una parte di non indifferente violenza.
Il disco è suonato con la giusta energia richiesta dai canoni del genere. Alberto Serra, impegnato alla voce, dimostra di aver recepito la lezione di Mike Patton e vanta una versatilità davvero non comune, passando con facilità da un cantato morbido e sinuoso ad uno più nervoso e aggressivo. A ciò aggiunge un inglese credibile e una notevole estensione vocale, come dimostra “Cupid”. Le chitarre si intrecciano bene tra di loro, e la sezione ritmica produce un muro di suono piuttosto potente, anche se l’utilizzo che il batterista Fabrizio Ghiselli fa del doppio pedale sfora spesso e volentieri nell’abuso. La produzione è sicuramente uno dei non pochi punti di forza di questo lavoro: i suoni sono estremamente curati, pieni e profondi, quasi da produzione ‘americana’.
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La recensione demo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-08-27 00:00:00
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