Un pugno allo stomaco, per chi non ha paura di soffrire di musica.
L'intestino dell'uomo medio è pieno di scorie, arrivano e si sedimentano dopo i pasti e non tutti vengono espulsi, spesso restano nelle viscere, negli strati più profondi numerose particelle di "qualcosa" che non è più né cibo né scarto, solo materia. La musica di Danio Manfredini è come quelle sostanze, indissolubile e perdurante, si annida in qualche piega dentro di chi ascolta e lì rimane a fossilizzare, dura e così consapevolmente statica da diventare sacramento dell'anima.
"Vivi per niente" è il titolo dell'ultimo lavoro a firma di Manfredini, un artista tentacolare, personificazione del misto fra teatro e canzone che in questo caso si sporca le mani con il cantautorato più intimo, e arriva con la sua profondità di suono a toccare corde che non sembravano pensabili.
Le fondamenta del progetto poggiano sul minimale, su scarni arrangiamenti di pochi strumenti suonati ad alto volume, su un pianoforte e un violoncello che portano via con la loro intensità e su una timbrica vocale grave e cavernosa, languida come quella di Capossela e scura come quella di Giorgio Canali versione ballade. Tutto ha la ricchezza della concentrazione, impossibile esimersi dal prestare attenzione a parole e musica.
Dieci sono i brani in scaletta, molteplici le declinazioni dell'angoscia e del decadentismo interiore descritto, nichilismo che subiamo o scegliamo di affrontare mentre vaghiamo senza uno straccio di idea sul futuro e ci sentiamo quasi in obbligo di espiarle. Quelle sensazioni si traducono in melodie lente e intensissime, come quelle di "Cosa faccio io qui", ultima canzone dell'album, un'istantanea in scala di grigi sulla solitudine di dicembre, onesta e fredda: "Mi ripeto che così / non può essere diverso / siamo stracci di luce / forse vivi per niente / nuvole, nell'acqua i riflessi / che neancora qualcuno / quell'ombra di noi stessi". Così desolante la fine del disco, così ciclico il sentimento che reinizia dalla traccia uno con una canzone di Natale dove l'ironico augurio si trasforma in un amaro e laconico testo alla Edda, una prosa parlata in cui Manfredini accende ogni colore della sua voce e si abbandona al violoncello, quel "Ciao Buon Natale" col groppo in gola mette davvero al tappeto.
"Vivi per niente" potrà suonare pesante, da dire e da ascoltare, un concetto talmente svilente da contorcersi e ritornare vivido nella sua compressione opprimente. Un siero iniettato direttamente nelle ossa, che porta brividi continui e fa anche un po' sognare, un debutto senza alcun timore e senza alcun compromesso pop, un pugno allo stomaco, per chi non ha paura di soffrire di musica.
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La recensione VIVI PER NIENTE di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-03-15 09:00:00
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