Il terzo album de I Cani è decisamente diverso rispetto agli altri due precedenti. Non c’è più Roma, sparisce ogni riferimento generazionale ed è difficile stabilire chi sia il protagonista di queste nuove storie. È spiazzante e per questo è un disco riuscito.
Molte delle canzoni hanno un vago sapore scientifico: parlano di galassie, di pianeti, di forme geometriche, della teoria delle stringhe e dei satelliti. Si riprende una cosa già detta in “San Lorenzo” (nel disco precedente) ovvero che la nostra esistenza, se messa a confronto con quella delle stelle, diventa irrilevante. In “Aurora” questo concetto viene enfatizzato al massimo, con dosi massicce di cinismo come se si facesse di tutto per sminuire l’uomo rispetto alle altre infinite possibilità dell’universo; e dire che pensavamo che bastasse cercare il proprio nome su Google per trovare noi stessi. E il continuo riferirsi agli astri comunica un senso di lontananza che si applica bene ai rapporti tra le persone, sia quando si tratta di una relazione a distanza con un oceano di mezzo, sia quando i due sono allo stesso tavolo ma lui a malapena la guarda negli occhi. C’è anche l’amore, nella sua versione più classica e dolce, ma ha comunque un retrogusto amaro. E c’è spesso quest’immagine dell’aurora come se arrivasse sempre dopo una notte rimasti a fissare il soffitto senza aver dormito.
È un disco molto triste. In “Finirà” si spiega che la Terra pian piano esaurirà ogni sua risorsa mentre in “Sparire”, la traccia dopo, il protagonista dice che “quello che non mi fa addormentare non è il triste destino che attende questo mondo cane, è la polvere che sta aspettando il mio ritorno” ed è una frase pesantissima. Le canzoni hanno un’emotività feroce. Le cose raccontate sono talmente forti da farti dimenticare i punti dove la musica non poi è così all’altezza: anche se “Baby Soldato” non ha groove arriva ugualmente a toccare punti molto delicati; “Il posto più freddo”, nonostante l’arrangiamento bruttino, è talmente personale e intima da affondarti.
“Aurora” ha melodie notevoli, rimangono in testa in maniera quasi ossessiva alimentando ancora meglio quella malinconia che c’è un po’ in tutti brani. Il suono si fa più elettronico: alcuni pezzi ricordano i primi Daft Punk (“Non finirà”, “Una cosa stupida”), The Supermen Lovers (“Protobodhisattva”), uno Schneider TM d’annata (“Finirà”) o cose vagamente alla Drake (la title track). Certo, le produzioni non sono una bomba - alcune sono proprio indifendibili - ma hanno una loro coerenza. Credo che buona parte dell’infelicità, dell’ansia e della solitudine presenti in “Aurora” passi anche da questo senso di “lasciato a metà”, tipo base midi.
Non piacerà a tutti, ma “Aurora” è davvero un disco potente. Niccolò Contessa ha una sensibilità e un modo di raccontarti le emozioni che è raro. Tutte quelle cose che a parole non sai mai come descrivere, che si tratti di un buco nero o la peggiore delle domeniche sera. Davvero molto bello.
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