Tight Eye
Forget-me-not 2016 - Sperimentale, Pop

Forget-me-not
17/03/2016 - 10:00 Scritto da Sara Scheggia

Retro-pop da cameretta, senza chitarre ma con la voce da protagonista. Un esordio interessante

Voce ammaliante, che sa emozionare ma anche restare distaccata. Minimal pop con sprazzi di alternative (ma senza chitarre), elettronica e gusto vintage. Canzoni che parlano di amore, paure, dubbi, desideri, aspirazioni. Questo, in sintesi, è l’esordio di Tight Eye, il progetto solista di Giulia Bonometti, già voce dei bresciani Own Boo. Un disco in cui ha messo un grande sforzo per far arrivare tutta se stessa, soprattutto nei testi, personalissimi. E in effetti la voce è sempre in piano, protagonista assoluta delle 10 tracce di «Forget-me-not». Giulia scandisce in ogni pezzo, in un’ottima dizione inglese, parola per parola. Noi la seguiamo in questo viaggio all’interno della sua personalità, dentro queste storie in cui ci si può anche ritrovare. Come se ci fosse un diario segreto lasciato aperto. Questa intimità qualche volta rischia di diventare stucchevole (vedi «Sad World», su tutte), legata com'è a un immaginario tardo adolescenziale.

Il pezzo che apre il disco, «Orbiter», è anche il singolo che l’ha lanciato. L’intro promette subito bene, tra tastiere e synth, e una melodia retro e romantica, tutta dedicata a questo ragazzo che «viene da Marte». Sulla stessa scia anche «Other lands», che riesce a creare atmosfere avvolgenti grazie a batterie piazzate al posto giusto e un ritmo che non è mai uguale a se stesso. Godibile, ma senza eccessi, «Paradise», che parla del sogno di una vita: mollare tutto, inforcare gli occhiali da sole e vivere in California. Più convincenti, invece, «Hurdles», che conta su bei riff di tastiere, e «L.L.D.», in cui il retro pop, mischiato con dei brevi cori e suoni di sottofondo da déja-vu, fa venir fuori un’attitudine cantautorale che nelle altre tracce non sempre decolla. Soft e più da easy listening è invece «Wild Side», un pop sofisticato che va a colpo sicuro. Qualche nota «maggiore» si intravede in «The brightness», in cui anche il nome del brano tradisce un’atmosfera meno cupa: un pezzo che ha delle accelerate apprezzabili e che danno la carica, nonostante la vaga e fissa e sensazione di già sentito. Infine, si chiude con una ballata che strizza l’occhio a un certo soul («Nobody but me»), solo voce e tastiere. 

Sospesa tra una Elisa hipster e una Regina Spektor in veste malinconica, Tight Eye conferma un certo talento, soprattutto vocale, e anche un gusto nella scelta delle atmosfere da pop da cameretta. Dal punto di vista musicale infatti, l’album pecca spesso di scarsa originalità e di un appiattimento creato dall’eccessivo protagonismo della voce. Come se nessun brano spiccasse sugli altri e nessun ritornello riuscisse a fare davvero colpo. Soppesando bene pro e contro, dunque, la vera speranza è che, alla prossima prova, Tight Eye riesca a mescolare l’eleganza e il gusto con soluzioni magari più sporche e meno prevedibili. Perché questa ragazza ha tutte le carte in regola per farci restare a bocca aperta e noi l'aspettiamo al varco. 

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