Tra ritmi funky e synth oceanici, Calavera ci porta in un viaggio introspettivo profondo, per confermarci che non sempre una fine porta a qualcosa di negativo.
"Le cose non risolte torneranno per dividerci e ridere di noi". Ecco come si apre "Funerali alle Hawaii" di Calavera (al secolo Valerio Vittoria) e già di per sé la scelta di un titolo così carico di significati riporta a un immaginario -e un'immagine- ben precisa. Tale immagine va delineandosi rapidamente nei trentadue minuti che compongono il disco, con "I miei discorsi" che è l'incipit di un viaggio introspettivo alla ricerca di quelle cose non dette che tanto sembrano vitali nel momento stesso in cui il tempo per poterle esprimere è esaurito, o in "La libertà nascosta", che con le sue melodie sostenute affronta un tema tanto reale quanto necessariamente mai troppo valutato, la fugacità della nostra presenza nelle esistenze altrui.
Una bellissima digressione dagli spettri sonori ora sgargianti ora quasi ridotti all'osso è "Le case d'inverno", cover di Luca Carboni, subito prima di addentrarsi nuovamente in un groviglio di pensieri lucidi accompagnati da un sottobosco sonoro dilatato e freddo di "Come fiori", denso come l'immersione in un mare temibile ma che attira a sé. "Se finisce il mare" si apre inaspettatamente in un ventaglio di suoni che si rincorrono, di synth che rotolano in capriole accanto ad una chitarra acustica discreta ma necessaria, mentre in "Nuovi modi per capire" le percussioni sono le vere protagoniste, prese per mano dai riverberi e dai suoni danzerecci, che qui convivono perfettamente. "Le cose non risolte parte due" riapre il discorso intrapreso all'inizio di questo viaggio, approfondendolo, e lo chiude dopo aver frugato dentro di sé, come tutti noi (chi più, chi meno) facciamo ogni giorno.
Ed è per questo che il disco di Calavera colpisce, per la sua maestrìa nello scavare nelle situazioni e nelle emozioni più comuni, la fine di una relazione, la perdita di una persona, la costanza con cui i dubbi vengono a presentarci il proprio conto, nel cuore della notte, quando siamo più fragili e intaccabili, la fugacità dei nostri ruoli nelle vite degli altri. Tutto ciò avviene però con estrema quiete, senza pesantezze o macigni, lasciando all'ascoltatore la sensazione di essere compreso e, perciò, confortato. E proprio come succede nei funerali alle Hawaii, anche qui una fine non è sempre sinonimo di negatività.
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La recensione Funerali alle Hawaii di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-09-14 10:00:00
COMMENTI (2)
Maxavo, grazie per le belle parole! Vienici a sentire dal vivo quando capita! :)
V.
molto bello questo album, che dimostra che l'autore non ha paura, finalmente, di fare musica attingendo a tutto lo spettro possibile, senza accontentarsi di creare motivetti orecchiabili adducendo la povertà della ricerca musicale ad una scelta stilistica tanto in voga in questo periodo storico-musicale. Le influenze si evidenziano a malapena e non offuscano l'originalità della proposta; la piu evidente è Colapesce, ma si scorgono addirittura echi di jaga jazzist e di quel piccolo gioiello di jazz-alternativ-psichedelico che è "what we must", dove"la libertà nascosta" sembra citare oslo skyline. In questo periodo, poi, le cover di Carboni sembrano essere una garanzia di qualità per i dischi che le propongono (gia era successo con il bell album di Ali "facciamo niente insieme"), e "le case d'inverno" ne è la conferma. I pezzi scivolano via coccolandoci, senza rassicurarci piu di tanto però, con suoni ricercati e mai banali che, uno dietro l'altro, ci fanno passare una trentina di minuti sospesi a mezz'aria, finiti i quali, è impossibile non sentire la necessità di ripetere l'esperienza.
Davvero una bella sorpresa che spero avrà la visibilità che merita.Complimenti.