Qualche tempo fa dietro ‘le quinte’ di Rockit si discuteva sulle differenze - in termini di efficacia - tra l’impostare un recensione in chiave narrativa - quindi partendo dalle emozioni personali - oppure seguendo uno stile distaccato e impersonale. Si è giunti alla conclusione che le due prospettive, e ovviamente le varie sfumature di mezzo, si equivalgono per efficacia, poi sta all’indole di ognuno scegliere la via che reputa più consona.
Personalmente ritengo ci siano alcune opere che per loro natura si prestano maggiormente ad essere trattate da una certa visuale, e in alcuni casi si ha persino la sensazione di trovarsi davanti a una scelta forzata, poiché - come in questo caso - la materia è costituita da un unicum di emozioni talmente puro e intenso che non potrebbe essere rappresentato altrimenti che attraverso altre emozioni.
Si potrebbe benissimo continuare - e terminare - con la descrizione dei ‘voli’ e delle figure che sono evocate dalle spaziose trame di pianoforte di Fabrizio De Rossi Re, e saremmo certi di non aver tralasciato nulla; ma questo ‘viaggio’ è meglio lasciarlo a chi, in prima persona, vorrà provare l’esperienza.
Si parlava della tensione emotiva come forza trainante: questo lo straordinario motore dell’opera.
Qualcuno dirà: “ma non è forse vero che le emozioni sono la cinghia di trasmissione di ogni creazione musicale?”. Certo, ma è altrettanto vero che esistono diverse gradazioni di intensità, nonché vari livelli di commistione con segni extramusicali (anche il testo può essere inteso come uno di questi). “Solo Piano”, in quanto ’costruzione’ prettamente strumentale, esprime al meglio il senso di astrazione da un reale in particolare, lasciando aperte le strade a molteplici percorsi.
Il compositore romano, che ha alle spalle una intensa carriera, negli anni ha prodotto numerose opere e stretto collaborazioni illustri tra le quali si possono citare quelle con il Teatro dell’Opera di Roma, l’Accademia Filarmonica Romana e l’Accademia Nazionale S.Cecilia. Musica seria, direbbe qualcuno. E’ vero, anche questo “Solo piano” lo è, senza però assumere mai - nemmeno per un istante - la forma pesante della seriosità. Leggerezza e intensità: è una semplicità che scava l’animo, e se ne rimane stupiti.
Sono melodie di note che non hanno fretta di rincorrersi, dilatate dal pedale del sustain e legate insieme dalla forza del proprio narrarsi. Malinconia, forse tristezza: sono forme che ondeggiano lentamente e altrettanto lentamente ‘divengono’. Come a sottolineare che di emozioni si tratta, c’è la voce del pianista che talvolta ricalca la linea melodica del tema con vocalizzi che enfatizzano il canto di un’anima.
Devo ammetterlo, sono rimasto profondamente colpito da quest’opera. Persino mentre scrivevo queste righe ascoltando il disco mi è capitato più volte di sorprendermi con lo sguardo oltre i vetri della finestra e la testa poggiata ad una mano, ad osservare i treni che di tanto in tanto si fermano nella piccola stazione di Nicastro. Lentamente. Poi con la stessa calma ripartono. Pochi vagoni, poche persone senza fretta.
Sembra la colonna sonora perfetta per questo sguardo di vita al rallentatore.
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