Un maremoto si era infranto sull’Officina Della Camomilla trascinando al largo tre quinti della ciurma: cosa il mare potesse restituire alla battigia sino all’uscita di quest’album ci era stato precluso. Il tempo scorre diversamente in provincia, ancora più lentamente in Liguria, così la magnifica regione è diventata lo scenario perfetto per un'alienante situazione alla Yorgos Lanthimos.
Per la prima volta De Leo ricopre il ruolo di autore e produttore della sua stessa musica, circondandosi di strumentisti in grado di realizzare le velleità artistiche rimaste fisicamente inespresse in un album solista come "Soutine Twist". L’immagine della formazione odierna è profondamente differente da quella dei vari capitoli di "Senontipiacefalostesso". Ora la band È il frontman e "Palazzina Liberty" non è altro che la logica conseguenza di questo cambio di rotta, un viaggio effettivo che coincide con un viaggio musicale, un ritorno alle origini radicale, a quando l’Officina della Camomilla era composta solamente dal suo frontman ed i pezzi strumentali erano all’ordine del giorno. Pace all’anima mia se ai toni grigi di "Palazzina Liberty" preferivo le canzoni colorate di "Senontipiacefalostesso". Questo non è un disco facile, non è il tentativo dell’insopportabile De Leo di cimentarsi con un genere musicale di livello più elevato, non è una giustificazione nei confronti dei suoi detrattori a cui l’Officina, prima e dopo quest’album continuerà a fare schifo, ma è un mettersi in gioco nei confronti dei fan ai quali sarebbe bastata una versione paracula (ma magari meno sincera) dei lavori precedenti.
Molti proverbi genovesi raccontano di come i liguri, popolo da sempre composto da viaggiatori e naviganti, provino una particolare sensazione di saudade nell’allontanarsi dalla propria Terra. Una sorte di spleen. Mal di vivere, malinconia, come ossi di seppia. È l’eterna metafora del viaggio come percorso di crescita. E in questa Odissea il Mar Ligure porta l’Ulisse-De Leo a far ritorno alla propria Itaca, Chiavari, passando per la Scilla dei Murazzi e la Cariddi dei Navigli. È la capacità di trasformare in musica una situazione psico-geografica a rendere "Palazzina Liberty" a tutti gli effetti un concept album, e l’abilità di trattare insieme mare e poesia in un unicum arcaico e disgiunto che per certi versi rimanda al Vinicio Capossela di "Marinai, Profeti e Balene". Un album ricco di non-luoghi, sospeso in un non-tempo, che deve necessariamente presentare delle non-canzoni.
De Leo questa volta si sottrae anche all’influenza dell’etichetta, vengono a mancare tutti gli orpelli pop tipicamente garrinchani, e "Palazzina liberty" è essenzialmente un album di espressione personale, senza mezzi termini e senza compromessi. Per questo coerente, e per questo platonicamente bello.
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