Il terzo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Va bene, lo zazzeruto di Molfetta affermava un’altra cosa, ma è inutile star qui a sottilizzare. Tantomeno se il discorso riguarda Cecco e Cipo. Che le cose le hanno cantate chiare sin dai tempi di “Roba da maiali” e “Lo gnomo e lo gnu”. Dischi nati sull’onda di un bel tot di leggerezza e semplicità, tra melodie accattivanti e gemme pop di sorprendente freschezza. “Flop” non sposta di molto le coordinate: Simone Ceccanti e Fabio Cipollini usano la medesima formula e continuano a sfornare canzoni immediate, dall’indubbio appeal radiofonico, mescolando ironia e spensieratezza, non mancando, sia pur a modo loro, di prestare attenzione alle sorti del mondo. Però la magia degli esordi questa volta, almeno un po', latita.
Sarà che l’ispirazione non è più la stessa, sarà che mancano all’appello pezzi decisivi come “Orazio” o “La licenza di un tuttologo”. “Flop” contiene canzoni al massimo carine, a volte parecchio carine (il contagioso po-po-po-po-po di “Io sono incazzato”, la poppeggiante “E le foglie che sorridono”), ma anche arrangiamenti in stile boy band che gridano vendetta, come quelli contenuti nell’opener “Uragano” o nella conclusiva “Otto e mezzo”. Per il resto si vivacchia tra la solita irriverenza (“Non voglio dire”), predicozzi sull’immigrazione (“Vivere alla meglio”), pulsioni rock and roll e altri episodi non eccessivamente memorabili.
A dirla tutta, se non è delusione poco ci manca. Ma il termine flop lo lasciamo lì, stampato sulla copertina del disco, senza usarlo a sproposito.
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