Questa recensione la voglio dedicare prima di tutti a me stesso. A molti sarà sembrato azzardato, o perlomeno istrionico il fatto che il sottoscritto abbia inserito il disco d'esordio di questo gruppo tra i migliori cinque ascoltati nel 2003, ma evidentemente c'è stato anche qualcuno che si è trovato perfettamente d'accordo. Nella fattispecie questo qualcuno si chiama Will Rahmer, un lugubre figuro conosciuto nell'ambiente del metal estremo per essere il leader dei brutali Mortician, il quale ha prodotto il secondo cd dei Carnivorous Vagina per la sua etichetta personale Redrum, con sede nel New Jersey. Certo, nella sostanza si tratta di qualcosa di minimo: qualche centinaio di copie che circolano tra una ristretta cerchia di amici. Ma fatte le debite proporzioni, pubblicare un disco per la Redrum rappresenta per i Carnivorous Vagina ciò che rappresenterebbe per gli Afterhours l'essere prodotti dalla Sub Pop, o per i Giardini di Mirò dalla Drag City, con la sola differenza che quest'ultimi non sono ancora arrivati a tanto. A conti fatti l'underground vive esattamente di queste cose: dei tributi di stima del proprio musicista preferito o, nel caso dei giornalisti, di aver visto giusto nel giudicare un gruppo emergente. I soldi, quelli forse in un'altra vita.
Riassumendo le puntate precedenti si può dire che i Carnivorous Vagina suonano qualcosa che trae la sua linfa vitale, da un lato dall'universo musicale orbitante tra il grindcore e il black-metal, dall'altro da un immaginario cinematografico di serie variabile dalla B alla Z. Il trait d'union tra questi due mondi è rappresentato dalla truculenza, dal gore, dal sangue che scorre in modo tanto copioso da essere più comico che terrorizzante. In questo campo l'Italia vanta una florida tradizione e sono proprio dialoghi estratti da oscuri film horror nostrani che fanno capolino tra un brano e l'altro, creando un clima sinistro che deve risultare bizzarramente esotico alle orecchie di uno straniero.
L'intro vede all'opera niente meno che il grande Lucio Fulci in persona, intento a leggere i punti salienti della sceneggiatura di un suo film: «…un'altra [donna] viene strangolata, un'altra ancora impiccata, un'altra tagliata a pezzi con una motosega, un'altra annegata nell'acqua bollente…». Con "Buried/Undead" inizia la musica vera e propria. Immagino che si tratti di chitarre e bassi, ma in realtà l'ammasso sonoro che si percepisce ha una qualità di difficile definizione: non è feedback, non è magma, non è texture, non è drone. Si tratta piuttosto di un composto di natura quasi organica che assurge a rango di essere vivente (morente). Dal massacro generale, a cui si aggiunge ovviamente la voce, si salva solo la parvenza di una batteria canonica, ma è un eco lontano, un rimando flebile che non sostiene i riff, ma si fa trasportare da essi. La consistenza del suono è forse l'aspetto più rilevante di questo cd, anche perché quelli che di solito chiamiamo accordi o linee vocali sono ormai più intuibili che riconoscibili, se si esclude qualche sporadico episodio come "Worms".
Piccola nota a margine. Questo disco non ha la "primascelta" perché non sarebbe corretto assegnargliela. Questo genere di musica si propone di essere esattamente il contrario di una prima scelta. Fate quindi finta che si tratti di una "ultimascelta".
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La recensione Istinto omicida di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-09-15 00:00:00
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