Sostanzialmente è una questione di gusti: da un lato "My Generation" degli Who e dall'altra "Old Man" di Neil Young, nell'angolo rosso "Lolita" e in quello blu "Venere in pelliccia", proprio come ai tempi de "Padri e figli" di Ivan Sergeevič Turgenev. Una questione quindi di età dell'uomo quella cantata dai Nu Bohemièn (un nome che è un programma, occorre dichiararlo in esordio, abbastanza scontato) in "La nostra piccola guerra quotidiana". Un disco ricolmo di storie, personaggi e situazioni latamente giovanili e giovanilistiche, sempre trattate con quell'ingenuità e quella fiducia nelle illusioni tipiche, appunto, di questa strana e turbolenta età. La prima traccia, piuttosto fulminante in questo senso, "Tua sorella", è una specie di inno di provincia su tutte le miriadi di "sorelle dei nostri amici" che hanno turbato, chi più chi meno, i nostri sogni. Un sorriso malizioso, una giovane ragazza che prende consapevolezza del proprio corpo e una visita, quella del demonio, del peccato, della tentazione che vira in tinte borgogna una scena dominata dagli innocenti color pastello. E si continua su questo leitmotiv anche nella seconda canzone, "La rivoluzione", una cavalcata a metà strada tra il pop e la new-wave che tra citazionismo e abbinamenti tra il sacro e il profano ("come Marx in una slot-machine/capitalismo nei sentimenti/nei desideri") narra dello scollamento e scoramento generale che attanaglia le nuove generazioni.
Benchè i Nu Bohemièn non trattino argomenti particolarmente originali e non perseguono vie musicali così sperimentali (o eccentriche rispetto al comune senso del gusto), la loro proposta è autorevole, godibilissima, come nell'intro digitale di "Quello che conta", una dichiarazione d'amore perfetta per una una ragazza conosciuta nel 2007 a Londra durante un concerto dei Bloc Party. Questo disco così si presenta come un numero, riuscito, da equilibristi al circo: ancora un poco e il gruppo veneto cadrebbe nel baratro dei cliché più triti. Questo però non accade mai, c'è sempre un colpo di reni che allontana i dubbi e ci fa ticchettare le dita al tempo di "La provincia", la splendida settima traccia: per tutti quelli che hanno preso un treno locale in una mattina d'inverno ricolma di nebbia, questa è la canzone giusta. Attraverso una squillante normalità i Nu Bohemièn si scoprono speciali. Sarà questo il tanto decantato new-normal? Ai posteri, sia giovani che già vecchi, la sentenza: a noi basta saltellare su "Alexander", il pezzo conclusivo, suonato assieme ai Management del Dolore Post-Operatorio. Settembre è tornato, gli universitari riprendono ad andare in piazza a manifestare.
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